- Computer (2003);
Le Arti e l'Uomo (1968);
Ambrogio Marazza (1950);
La “Piccola Intesa” (1947);
Sindacato giornalisti (1943);
“Commenti di Critica d'Arte” (1943);
Matrimonio Ragghianti (1938);
Anna Achmatova (1934);
Arnaldo Cantù;
Bramantino;
Basilica del Sacré-Coeur di Parigi (1874).
1. Computer.
Come si può constatare nel nostro post del 21 febbraio 2019, l'attività didattica vera e propria nei primissimi tempi dell'esistenza dell'U.I.A. non fu esplicata regolarmente fino all'autunno del 1970. Nel frattempo l'Istituto, concepito e voluto da C.L. Ragghianti prima per Firenze e poi – con propria autonomia – per Venezia, città gemelle quali vittime dell'Alluvione del 4 novembre 1966, organizzava seminari e varie altre attività di ricerca in gruppi selezionati.
Tra le iniziative di attività “provvisoria” avrebbe dovuto aver luogo anche questo Convegno internazionale a Firenze e a Venezia. Il testo del progetto è opera essenzialmente di C.L.R., coadiuvato da Giuseppe Mazzariol.
A me viene da aggiungere che il progetto oggi mantiene un'attualità stimolante.
Purtroppo gelosie e contrarietà politiche resero insuperabile l'ostacolo di reperire quanto necessario a realizzare un'impresa così complessa. Il Partito Socialista, che ufficialmente apprezzava e sosteneva l'iniziativa U.I.A., era paralizzato dalle correnti divise sull'attribuzione del Presidente del Consiglio di Amministrazione, tanto che alla fine – dopo la riunificazione con i socialdemocratici scissionisti dal 1947 – fu indicato l'On. Antonio Cariglia, socialdemocratico calabrese a Pistoia, persona estranea al mondo dell'intellettualità, con particolare sordità nei confronti delle arti figurative.
Queste due pagine fanno parte del Discorso ufficiale che C.L. Ragghianti tenne il 29 maggio 1950 in Palazzo Strozzi a Firenze in occasione dell'Inaugurazione della “mostra dell'antica pittura senese – Tavolette di Biccherna” [si veda il nostro post del 11 novembre 2024], nei locali de “La Strozzina”.
Il ricordo di questo dimenticato, ma valido, storico dell'arte fu occasionata dalla presenza all'inaugurazione
del Ministro del Lavoro on. Achille Marazza, democristiano stimato da C.L.R. per il suo passato antifascista e resistenziale, con cui ricambiava un'amicizia nata “nel mondo della lotta antifascista per la libertà, e poi come uno dei protagonisti della Resistenza in Lombardia” e “il suo nome mi era familiare attraverso l'opera di suo padre, che fu anch'egli uno storico e critico d'arte”.
Pubblicato ne “Il Lemone” (n.26, luglio 1947), settimanale faentino del P.R.I., questo intervento di C.L.R., ricordando questo tentativo nato sull'impulso dei leader cechi (1920-1938), esortava il Partito Repubblicano di Pacciardi e di La Malfa (la cui roccaforte elettorale era proprio in Romagna), insieme al P.S.L.I. di Saragat e al P.S.I. di Nenni a “divenire la garanzia di una stabilità democratica che concreti il progresso sociale necessario in una società moderna”.
Criticato per ignoranza da certo Di Ricco (di cui non dispongo del testo obiettivante), con lettera del 15 luglio 1947 mio padre ricordava coloro che furono in seguito – oltre che gli eroi – i martiri per la libertà “ceca”. L'articolo e gli argomenti politici sono espressione della partecipazione attiva di C.L.R. alla fase politica della sinistra democratica denominata “Terza Forza”.
Con repentina italica tendenza trasformistica, subito dopo il 25 luglio 1943, in seguito alla sfiducia del Gran Consiglio del Fascismo espressa nei confronti del cav. Benito Mussolini, la corporazione fascista dei professionisti e degli artisti si convertì in senso liberal-monarchico. Bastò sovrapporre al termine “fascista” una pecetta nera e … voilà: viva il re! Viva Badoglio!
Della suddetta corporazione facevano parte anche i giornalisti professionisti, tutti, ovviamente iscritti al Partito Nazionale Fascista.
Mai iscritto al P.N.F., Carlo L. Ragghianti era disoccupato dal giorno dopo la propria laurea in Lettere, vissuto fino ad allora di espedienti e consulenze precarie. Sposato ormai da cinque anni e con due bambini piccoli, pensò di iscriversi al neonato Sindacato dei giornalisti.
Però in periferia non si avevano notizie su dove presentare nuove adesioni dopo la caduta del regime fascista. Perciò C.L.R. scrisse appena riacquistata
la libertà (fu rilasciato il 26 luglio perché il 25 rifiutò di uscire dal Carcere di Bologna senza i compagni detenuti comunisti, ancora trattenuti) ad alcuni vecchi amici giornalisti, fascisti formali ma in qualche modo collegati alla illegale cospirazione antifascista, per avere informazioni e chiarimenti.
Tra le risposte che ebbe, tutte certamente dilatorie, riporto qui quella del coetaneo – conosciuto fin dall'infanzia – lucchese Arrigo Benedetti (nel 1946 fondatore dell' “Europeo”) e del filosofo “idealista” Guido De Ruggiero, Commissario badogliano, che sarà Consultore Nazionale con C.L.R. nel 1945-46.
Questo vano tentativo di avere un ancoraggio professionale a fini di facilitazione alimentare, fu accantonato praticamente subito. L'8 settembre 1943, infatti, l'Italia centro-settentrionale fu “invasa” e occupata dai nazisti col sostegno da loro armati dei neofascisti della Repubblica Sociale di Salò, con conseguente guerra “civile” tra italiani fino al 25 aprile 1945.
6. “Commenti di Critica d'Arte” (1943).
Questa lettera del 14 aprile 1943, scritta il giorno dopo la nascita della seconda figlia Rosetta, e prima di essere arrestato per la seconda volta per cospirazione antifascista, fu indirizzata a Benedetto Croce. Come il testo evidenzia, il fisolofo era di fatto il Direttore editoriale della casa editrice barese Laterza.
Ricordo che il libro di C.L.R. Commenti di Critica d'Arte è stato oggetto di un post il 22 gennaio 2014, nel quale si ripubblicano parte dei saggi del libro. Gli scritti di
Architettura e Urbanistica del libro, in parte resi noti nell'importante volume curato da Valentina La Salvia per le Edizioni della Fondazione Ragghianti di Lucca (Per mio conto e fuori dalle convenzioni scientifiche, 2015), spero di poterli postare prossimamente. Così i saggi di “Critica d'arte ed estetica”, pubblicati in precedenza su “La Critica d'Arte” dal 1936 al 1941. L'inconscio e l'arte (da “La CdA”, feb. 1937) sarà postato con gli scritti dell'a. di argomento affine.
Il documento è di per sé esplicito ed anodino. E' anche, però, significativo della cialtroneria della burocrazia e, di conseguenza, della scarsa attendibilità dei suoi atti. In questo estratto ufficiale Licia Collobi risulta nata a Firenze, anziché a Trieste. Probabilmente, date le restrizioni del regime fascista, per persone nate all'estero (Trieste è italiana dal 1918) vigevano procedure speciali con lungaggini. Licia fu così dichiarata residente presso la futura suocera in via del Proconsolo. Perché fatta nascere proprio in questa città (che lei non amava)? Resta un mistero.
Dato che questo è un estratto, non sono riportati i nomi dei testimoni del matrimonio. Uno fu Cesare Gnudi (nato e cresciuto a Bologna),
però fatto risiedere a Firenze falsamente per poter procedere con la cerimonia. Anche in questo caso il mistero dell'intoppo burocratico è legato a problemi di certificazione dell'atto. L'altro testimone era valido perché persona nota che faceva professione di conoscere gli ignoti a cui garantiva un falso legalizzato. Costui ed altri allora, come oggi, sostano nelle anticamere degli uffici in attesa di essere chiamati (e pagati) per attestare quanto richiesto dalla legge.
Formalmente il matrimonio tra Carlo L. Ragghianti e Licia Collobi è atto non valido, quindi giuridicamente, se richiesto, avrebbe potuto essere dichiarato nullo, non avvenuto.
8. Anna Achmatova ( 1934).
Riporto questa poesia del 1934 di Anna Achmatova (1889-1966), poetessa russa perseguitata dall'ottusità staliniana, perché di una onestà intellettuale direi sincera, dolente ma dignitosa. Ritengo che l'Achmatova sia stata una personalità
con doti che sono, invece spesso carenti negli intellettuali professionisti, quali sono tutti coloro che possono o potrebbero esprimersi in modo originale sotto i regimi dittatoriali.
Nel nostro post del 1 dicembre 2020 si ripubblicava l'importante studio di Raffaele Bruno sull'attività di Arnaldo Cantù negli anni 1912-1914 (da “Critica d'Arte”, n.154-156, 1977 e n.157-159, 1978), critico d'arte promettente interprete dell'estetica contemporanea in chiave consona a quella del suo coetaneo Roberto Longhi e a quella di Matteo Marangoni.
Ho rinvenuto in archivio tre lettere relative all'intenzione di Carlo L. Ragghianti di ricordare questa originale figura di studioso, morto in guerra all'inizio del 1915.
La prima lettera (21 feb. 1971) è indirizzata al proprio allievo Bruno, allora assistente di ruolo presso la Scuola Normale di Pisa; la seconda, di pari data, è indirizzata a Adriano Panazza (1914-1996), studioso bresciano, come lo era stato Cantù; la terza missiva (del 30 giugno 1977) era diretta a Fortunato Capuano, diretto generale del personale del Ministero dei Beni Culturali.
Ricordo che Cantù nacque nel 1884, nel 1910 firmò il manifesto dei pittori futuristi, tra il '12 e il '14 fu gravemente malato, ciò e nonostante la propria contrarietà alla guerra il 24 maggio del 1915 compiva il proprio dovere patriottico, morendo in combattimento il 16 agosto 1915.
Nell'ambito dei post che sto approntando per illustrare uno dei più incisivi artisti del Novecento, Henri Matisse, riproporrò il saggio di Cantù sull'artista francese,
pubblicato su “Critica d'Arte” (IV s., n.8, 1986), concluso con una Postilla di due pagine scritta da Carlo L. Ragghianti.
Nella lettera del 22 febbraio 1969, inviata al critico d'arte Marco Valsecchi (si vedano anche i post del 22 e del 27 settembre 2022, riguardanti il Catalogo della Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”), Carlo L. Ragghianti dà un chiaro esempio della propria corrispondenza professionale. Interessante poi la parte finale del dattiloscritto,
che riguarda l'annoso problema della Collezione Contini Bonacossi di cui C.L.R. fin dal 1944 si è dovuto interessare. Ripropongo quindi la prima parte dello studio Lombardi agli Uffizi (“Critica d'Arte”, n.81, 1966) perché citato nella suddetta lettera.
Situata sulla sommità della collina di Montmartre a Parigi, la Basilica del Sacré-Coeur è forse il più brutto edificio di culto cattolico ad oggi realizzato. Carlo L. Ragghianti ne era costernato, io l'ho esperito nel 1957 accuratamente, dentro e fuori, sostanzialmente inorridito. E non fu sufficiente consolazione voltare le spalle al mastodonte e rimirare il magnifico spettacolo della sottostante Parigi.
A essere indulgenti, mio padre paragonava l'edificio a una torta nuziale del cinema USA. Oggi si può paragonare ad una torta dei matrimoni partenopei di una vigente trasmissione Tv di sponsali, monumento al Kitsch più obbrobrioso. Questo vulnus alla città di Parigi fu la conseguenza dell'ondata reazionaria e clericale successiva
alla sconfitta del 2° Impero e al “genocidio” dei comunardi di Parigi. Ricordare la tematicamente collegata e magnifica – lei sì, monumentale – Histoire contemporaine di Anatole France non è balsamo sufficiente a sanare la ferita oculare e sentimentale di questo edificio.
Non è neppure consolante guardare gli altri progetti presentati per la realizzazione della Basilica. Essi furono pubblicati su L'Illustration, journal universel (1 agosto 1874) con un breve, anodino testo. Sono evidentemente uno più orripilante dell'altro, come si può constatare dalle immagini relative alla facciata della basilica.
Nessun commento:
Posta un commento