Se non fossi condizionato dalla data di scadenza, questo post sarebbe destinato alle “calende greche”, cioè a non essere pubblicato. Difatti la circostanza – non troppo casuale stante il disordine in cui l'età mi costringe ad esplicare l'attività riguardante questo blog – di non ritrovare la precedente stesura di questo testo mi costringe a ricostruirlo per poterlo postare il 31 dicembre.
Questo giorno, ordinariamente speciale in quanto conclude l'annata, nel 1999 fu quello nel quale venni a stabilirmi in pianta stabile nell'abitazione acquistata da mia sorella Rosetta e in quella adiacente da me: appartamenti contigui congiunti da aperture non tamponate nei muri divisori.
Il relativo trasloco avvenne a tappe affrettate perché la casa avita – Villa La Costa a Firenze – era già stata venduta annessi e connessi a tre acquirenti. Per i loro lavori divisorii bisognava andarsene al più presto.
Tutto ciò avvenne con il complesso edilizio di Vicchio appena terminato ma con rifiniture in corso. La mobilia era collocata ma a venti centimetri dal muro, ancora vuota. Il fatto non ordinario del mio abitarvi prima di concludere lavori e traslochi dipese da certi muri, da certi pavimenti, ancora “umidi”, tali da non essere ufficialmente agibili.
D'altra parte lasciare case e cose senza occupanti era rischioso, a detta di maestranze e dell'ingegnere progettista.
Avvenne così che i miei 20.000 libri e i 2000 faldoni furono collocati in due magazzini in Vicchio, uno dei quali dirimpetto ad un lato della casa di Rosetta. (Mi ci vollero più di tre mesi per ricollocare e sistemare tutto). Il resto dei mobili e le pertinenze domestiche erano ancora imballate a La Costa. Le opere d'arte di nostra spettanza erano con me a Vicchio, anch'esse imballate, nell' “open space” adiacente alla camera da letto.
Il resto delle due abitazioni, dall'ipogeo, dal piano garage e taverna, dal primo e dal secondo piano, alle mansarde era accecante bianco su pavimenti di cotto con surrealisti tagli e interruzioni di porte, portefinestre, finestre e vetrate disegnate da Leonardo Baglioni.
Vissi così, da solo, per una dozzina di giorni con i termosifoni costantemente accesi notte e giorno, per eliminare da muri e pavimenti l'umidità post muratoria.
Si compiono, di conseguenza, oggi 31 dicembre 2024 venticinque anni esatti di residenza continuativa in Vicchio di Mugello dei fratelli Francesco e Rosetta Ragghianti.
Residenza confortevole in un bel viale lungo e alberato che dalla stazione ferroviaria porta all'apice della collina col centro della cittadina. Di fronte alle case si vede un ampio spazio pubblico, con un giardino curiosamente dedicato alla patriota lombarda Cristina Trivulzio di Belgiojoso, poi – salendo – si vedono la scuola elementare e l'edificio con la biblioteca e il Museo comunali.
In questa magione abbiamo vissuto indipendenti e viviamo confortevolmente e, per quanto possibile all'essere umano, serenamente, confortati dalla vicinanza di nostra sorella Anna (ora per la salute dopo una ventina d'anni trasferitasi a Rosignano) residente in una vicina frazione del comune, e da nostra nipote Irene, indispensabile ausilio, residente nel vicino comune di Borgo San Lorenzo.
Mi fa piacere, infine, ricordare che questa dimora indipendente su tre lati e mini giardino, la individuammo e quindi acquistammo, dopo non poche infruttuose e deludenti ricerche di spazi adeguati nell'intero arco periferico di Firenze. Ancora una volta, quindi, voglio ringraziare per il felice suggerimento e l'assistenza Roberto Lecca, amico e dirimpettaio, nonché cognato dell'ultracinquantennale amico e già socio editoriale Adriano Gasparrini, che abita a un chilometro di distanza da noi.
Giulio (Rontini) da Vicchio (1925-2004) noto pittore di scuola labronica, è l'autore del dipinto raffigurato nel post. Si tratta di una veduta, o meglio “apparita” di Vicchio colta da uno scollinamento del circondario montuoso. Ho acquistato il quadro (olio, cm 39x27) su indicazione di mia sorella Anna, non solo perché rappresenta il luogo dove sono attecchite le mie radici, ma soprattutto perché, al di là delle indubbie qualità tecniche ed espressive, l'Apparita di Vicchio (1947) mi ha suscitato un'autentica emozione interiore. Emozione che traspare anche dal sonetto che, come quasi sempre, mi venne l'11 febbraio 2024 l'impulso di scrivere, praticamente di getto.
Mi corre l'obbligo, purtroppo, per concludere di avvertire il lettore del post che i mezzi tecnici fotografici a disposizione non sono riusciti a riprodurre fedelmente l'armonica sinfonia cromatica di questo piccolo “capolavoro”, nel senso di entrambe le accezioni del termine.
F.R. (25 dicembre 2024)
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