Carlo e Licia

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martedì 31 dicembre 2024
mercoledì 25 dicembre 2024
Licia Collobi Ragghianti: Schede di pittura francese.
Post precedenti:
giovedì 19 dicembre 2024
Giacomo Matteotti (1885-1924)
Nella nostra famiglia l'esempio morale e civile rappresentato da Giacomo Matteotti (1885-1924) è stato uno dei pilastri delle fondamenta della costruzione morale di ciascuno di noi, nonché cemento della solidità dei nostri rapporti reciproci. Fu quindi anche per questo motivo che per i coniugi Ragghianti, avendo chiamato per famigliare tradizione il primogenito Francesco come il nonno paterno, il secondo figlio maschio fosse Giacomo, come il martire socialista.
Oltre sei mesi fa, all'inizio delle celebrazioni del centenario del barbaro omicidio di Matteotti (10 giugno 1924), sconfortato dalla cautela piuttosto ipocrita e conformista di quelle manifestazioni nelle quali sguazzava anche del marcio fascista, oggi gestito a livello istituzionale dagli eredi ideologici del mandante del delitto, avevo deciso di non intervenire sull'argomento nel nostro blog.
Rimaneva, però, in sospeso il fatto concreto dell'esistenza di uno scritto in proposito di Carlo L. Ragghianti. Si tratta della recensione su “Criterio” (n.8-9, 1957) del libro di Alessandro Schiavi La vita e l'opera di Giacomo Matteotti (Opere Nuove, Roma 1957) monografia dedicata alla memoria del martire socialista in occasione dei trentanni dalla vile e sadica trucidazione.
Mi sono poi imbattuto nel libro Matteotti dieci vite (Neri Pozza, aprile 2024) scritto da Vittorio Zincone, che ho comprato e letto. Questo volume di 332 pagine ha un taglio di narrazione storiografica originale rispetto all'argomento ed è molto accurato nei dettagli: merita, quindi, un plauso.
Zincone riesce anche ad evitare sentimentalismi agiografici pur creando, anche tramite il rapporto poco noto di Matteotti con al moglie Velia Titta, una ricostruzione emotiva dalla quale si evince un Uomo dalle molte qualità, ma non eccezionale, un eroe vero perché coerente con i propri ideali socialisti e riformatori.
Ideali che nell'immediato futuro degli anni Trenta hanno coinvolto e ispirato un degno successore in Carlo Rosselli anch'egli non a caso trucidato per ordine del solito mandante rintanato in Palazzo Venezia a Roma.
Volentieri ricordo e segnalo questo libro di Vittorio Zincone perché – lo ripeto – spicca tra i contributi di questo Centenario dall'assassinio, nel quale Matteotti sembra ricordato più come dovere d'ufficio che per convinta adesione e condivisione. Non è secondario il fatto che il passato rivissuto in un presente non dissimile dovrebbe divenire motivazione per agire oggi in vista di un futuro che appare piuttosto opaco e nero.
Questo libro, infine, evita alla memoria di Matteotti di banalizzarsi; induce a pensare agli ideali di un “socialismo” autentico in un mondo dove il ricordo di uomini come Giacomo Matteotti o diventa costitutivo, basico nella coscienza del cittadino (come lo è stato Garibaldi) o diventa inutile orpello, risultando soltanto vacua retorica.
Oltre alla documentazione sul libro di Schiavi, riproduco le due recensioni che mi hanno indotto ad acquistare e leggere il libro pubblicato quest'anno da Vittorio Zincone. Si tratta rispettivamente di un intervento del 14 aprile 2024 su “Il Fatto Quotidiano” scritto da Antonio Padellaro e della recensione di Michael Braun pubblicata su “Internazionale” (14 maggio 2024).
Per quanto riguarda la bibliografia riporto quella vagliata da Schiavi e per quella di Zincone noto che giustamente egli la intitola Fonti, intendendo con ciò ricordare soltanto testi effettivamente studiati per scrivere il proprio libro.
In conclusione del post, riproduco la trascrizione della testimonianza resa il 25 aprile 2024 in un programma della RAI da Antonio Scurati. Sono parole che – dato il contesto e le reazioni – fanno onore allo scrittore già autore di una importante biografia critica di Mussolini. Purtroppo siamo in una situazione sociale nella quale occorre riconoscere il coraggio di avere pronunziato delle verità, le quali suscitano irose reazioni di chi ci sta governando, apertamente nostalgico del regime mussoliniano. D'altra parte fa tristezza constatare che questo regressivo secolo XXI ha avuto un solo eroe: Julian Assange.
Riporto, infine, una breve documentazione prevalentemente giornalistica, senza pretese di completezza o di orientamento. Il 27 giugno 1924, Filippo Turati celebrò il sacrificio del Compagno ed Amico. Nel giugno 1944, l' “Avanti!” – storico quotidiano socialista –
edito in clandestinità pubblicò in un foglio su due facciate il ricordo del martirio del Compagno Matteotti. Il 5 agosto dello stesso anno Gaetano Salvemini su “L'Azione” (settimanale del Partito d'Azione nell'Italia del Sud liberata) sottolineò le responsabilità di Mussolini e di Vittorio Emanuele. Ne “il Giornale” (1 novembre 1985) Indro Montanelli commenta Le novità del delitto Matteotti. Su “Storia” (aprile 1986) Renzo De Felice con Capire il delitto Matteotti sottolinea che “una seria ricerca sull'aspetto affaristico di questa vicenda è opportuna. Anzi, necessaria”.
In “Nuova Antologia” (n.2172, 1989) Valdo Spini pubblica Ricordo di Matteotti. Interpretazione e commenti. Nell'aprile 1993, su “La Stampa” di Torino, Giovanni Spadolini scrive a proposito di Matteotti nei ricordi di Gobetti, mentre il 2 marzo 1994 su “La Repubblica”, Nicola Tranfaglia ribadisce le responsabilità personali di Mussolini. Il 2 luglio dello stesso anno, su “Venerdì”, Corrado Augias recensisce i recenti contributi su Matteotti di Claudio Fracassi e di Mauro Canali. Su “L'Espresso” del 7 maggio 1996, Chiara Valentini firma l'articolo Matteotti? Uccidetelo a Vienna, svelando tra l'altro il tentativo fascista di far passare l'omicidio come resa di conti tra socialisti. In un riquadro viene intervistato lo storico Mauro Canali, autore del libro Il delitto Matteotti (Il Mulino, 1997). Chiude questa rassegna l'articolo di Marco Lillo su “Il Fatto Quotidiano” (29 marzo 2024) nel quale si illustra la “bellissima” mostra su Matteotti al Palazzo Braschi di Roma e, al contempo, si depreca a ragione che essa sia stata “ignorata” dalla diffusione mediatica.
Insomma, in questo travagliato oscuro presente mostruosamente bellicista, in questo mondo e in questa Italia preda di varie declinazioni fasciste (persino apparentemente tra loro alleate o contrastanti) “la storia di Giacomo Matteotti, martire della democrazia e icona della più tenace opposizione al fascismo, è la storia di allarmi lanciati e rimasti inascoltati”. Appunto: ieri come oggi allarmi lanciati e rimasti inascoltati!
F.R. (23 novembre 2024)
P.S. - Quando il presente ricordo di Giacomo Matteotti, era già pronto per la postazione, vedo la recensione del libro di Francesco Tundo Riforma tributaria. Il metodo Matteotti (Bologna, U.P., 2024). Particolare attenzione, oltre al fatto che il volume "fa parte di quelle opere che definisco necessarie", mi suscita la firma del recensore: Martin Schulz. Da parlamentare europeo - poi anche Presidente dell'Assemblea - questo socialdemocratico tedesco fu offeso e deriso da Berlusconi (lo definì persino "capo/capò", cioè detenuto di campo di concentramento
nazista disposto a vessare e controllare gli altri prigionieri). Quindi, ipso facto, per noi Schulz è una persona perbene e rispettabile, un amico.
Mi sembra opportuno, di conseguenza, riportare questa recensione pubblicata il 3 dicembre su "Il Fatto quotidiano", giornale tra i pochi che hanno varie volte degnamente rievocato il martire socialista italiano in occasione di questo triste centenario vichianamente preoccupante.
sabato 14 dicembre 2024
Firenze febbraio-marzo 1967: lettura di Marcello Venturoli - Con “Appendice” di Carlo L. Ragghianti.
Poeta e romanziere, quindi anche critico d'arte contemporanea – tra l'altro scopritore di alcuni talenti – Marcello Venturoli (1915–2002) è stato uno dei pochi cronisti d'arte di cui da giovane leggevo gli scritti prima su “Paese Sera” (fino al 1963 quando per contrasti con la direzione – non era abbastanza filocomunista! – “viene licenziato e si ritira nella sua casa di Ostia” dove riprese la “carriera” di scrittore ( già stata brillante, vincendo due volte il Premio Viareggio a distanza di sei anni: 1951, 1957).
Di lui nel 1960 o 61 lessi il Dizionario della paura (1951), sorta di colloquio epistolare, o meglio disputa ideologica tra liberismo e comunismo dibattuta con Ruggero Zangrandi. Fu lettura utile e stimolante per me socialista “utopico”, circondato da coetanei estremisti, poi per lo più estremisti parolai pronti ad ogni prebenda accademica e sociale, mentre altri si rivelarono opportunisti blairiani o comunisti immemori, quindi - se ancora vivi - renziani o democratici atlantici e guerrafondai. Divago ancora per ricordare che Zangrandi (1915-1970) nel 1962 pubblicò per Feltrinelli il bestseller Lungo viaggio attraverso il fascismo: testimonianza sferzante, un atto di accusa che svelava soprattutto l'entrismo (con o senza distacco dal fascismo) avvenuto tra il 1943 e il 1945 (purtroppo con compiacenti assoluzioni: il cicerone di Hitler, ad es., bombardato Direttore generale) delle camicie nere nelle formazioni democratiche, soprattutto nel partito comunista (ciò che 60 anni dopo spiega, almeno in parte, l'attuale maggioranza trisfascista assieme alla flebile opposizione bifascista. Ciò si constata in particolare nella dissoluzione di chi si disse comunista confluito nelle peggiori o nuove formazioni politiche ambigue e cleptocratiche) e, questo lo sostengo io fermamente, felici che i neri facciano i cambiamenti – anche radicali – che loro apprezzano e approvano ma non hanno il coraggio di proporre, persistendo a dirsi opposizione e di “sinistra”. Col cavolo!
Seguii saltuariamente gli scritti di Venturoli dopo la mia parentesi universitaria, con una ripresa d'attenzione che sarà parte collaterale ma determinante di un post che ho intenzione di pubblicare nel prossimo futuro.
L'estratto che segue proviene dal volume Tutti gli uomini dell'arte (Rizzoli, 1968), comprendendo due capitoli del libro, che ripropongo secondo la cronologia reale, diversa dalla sequenza delle pagine del libro, che ho acquistato l'anno scorso. In questi due stralci Marcello Venturoli scrive di Firenze; della Mostra nel Salone dei Dugento di Palazzo Vecchio delle opere donate dagli artisti alla città di Firenze per il costituendo Museo d'Arte contemporanea; della Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935” di Carlo L. Ragghianti.
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Marcello Venturoli |
Oltre alla sorpresa per il suo interessamento a queste vicende per me importanti, ne ho gradito il taglio equanime e la scrittura scorrevole, “divulgativa” nel senso della “seleArte” ragghiantiana. Naturalmente l'analisi di Venturoli non è “embedded”; anzi la sua lettura critica è per diversi aspetti differenze, anche distante e pungente ma non offensiva, tanto meno denigratoria. Si tratta di punti di vista diversi e intelligenti (e ciò è dialetticamente positivo).
Giunto al termine di questo redazionale mi ricordo di una recensione di Carlo L. Ragghianti al libro La patria di Marmo, pubblicato da Venturoli nel 1957 con il comune editore Nistri-Lischi. Siccome il testo di C.L.R. non è propriamente lusinghiero per l'autore, anche se “mezzo noioso e mezzo divertente”, la persona Venturoli dieci anni dopo non esprime risentimento veruno. Ciò dimostra una personalità molto e positivamente matura, data la notoria suscettibilità rancorosa mediamente diffusa, allora come sempre, tra gli “intellettuali”. Perciò ripropongo come Appendice anche lo scritto di C.L.R. tratto dalla rivista “Criterio” (n.7, luglio 1957).
F.R. (20 aprile 2024)
lunedì 9 dicembre 2024
Cucina toscana, 3 - Minestre e zuppe
Post precedenti:
Cucina toscana, 1. Antipasti e salse - 5 luglio 2024
Cucina toscana, 2. Pastasciutta e risotti - 15 agosto 2024
mercoledì 4 dicembre 2024
Giovanni Paolo Panini (1691-92 – 1765 ) pittore.
Questo contributo di Licia Collobi Ragghianti si è imposto per essere pubblicato in precedenza su altri grazie ad un ricordo specifico, riguardante la genesi dello scritto.
All'epoca dell'edizione della monumentale ed accurata monografia dello studioso Ferdinando Arisi (1961), ricordo che a pranzo mia madre disse al marito e direttore di “seleArte” di avere intenzione di relazionare su quel libro invece che sull'argomento in precedenza concordato.
All'immediato “d'accordo”, seguì la domanda: “come mai?”. La risposta fu perché il fatto che l'autore e l'artista fossero entrambi piacentini le aveva riportato in mente il periodo nel quale soggiornò a Piacenza dal luglio 1938 con l'incarico di compilare l'inventario e la bibliografia dell'Inventario generale delle opere d'arte e degli oggetti della provincia di Piacenza.
Considerando che fino ad agosto con C.L.R. – il quale spessissimo da Rovigo e da Bologna le scriveva e appena poteva la incontrava – si davano ancora del “lei”, bandito dal fascismo, e che Collobi e Ragghianti si sposarono alla fine del mese di novembre a Firenze, quell'epoca della vita per Licia Collobi, ventiquattrenne, fu certamente un periodo piuttosto importante, con ricordi indelebili.
F.R. (3 ottobre 2024)