Questo saggio è stato scritto da Roberto Papini (1883-1957), storico dell'arte e dell'architettura, il quale fu molto operoso in vari incarichi e collaborò a molte riviste di cultura. Con C.L. Ragghianti ebbe relazioni nell'immediato dopoguerra in merito alla ricostruzione di Firenze, però è probabile che lo conoscesse da molto tempo. Mi sembra si possa dedurre che fu un buon navigante tra le sfere del potere e della burocrazia anche fascista, però non complice. Per un disguido nel caotico archivio (riesco a lavorare e a usarlo, non più a gestirlo riordinandolo via via) non trovo l'incartamento con la corrispondenza con C.L. Ragghianti, che ricordo approssimativamente non polemica.
Posto questo curioso saggio, con indubbio risvolto paradossale, però ben condotto e, perché no, convincente. Esso proviene dalle poche carte e libri (generalmente di intrattenimento) lasciati da nostra zia Erminietta (1908-1992) musicista che ha gestito un lungo e apprezzato servizio tecnico in RAI.
Dante pittore fu pubblicato l'anno della morte dell'autore, quindi potrebbe essere anche postumo, sulla rivista “Piazza delle Belle Arti”, organo dell'Accademia Nazionale “Luigi Cherubini” di musica, lettere e arti figurative.
Il paradosso dell'assunto, retto soltanto su teoremi mentali supposti nella mente del Poeta, è condotto con competenza filologica, forse inaspettata in un architetto. Papini rende plausibile l'esistenza concreta in Dante di esercizio
disegnativo e pittorico, forse un po' banale (ma ancorato al nuovo linguaggio di Giotto) nell'invenzione e nel ductus, sorretti da una robusta mentalità espressa in termini letterari.
F.R. (9 maggio 2024)
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