Alessandro Parronchi (1914-2007), dopo essersi laureato a Firenze in Storia dell'Arte, è stato poeta, storico e critico d'arte, traduttore. Ha avuto stretti contatti di lavoro con Carlo L. Ragghianti in qualità di segretario de "La Strozzina" nella sua fase iniziale (1948-51).
Secondo Licia Collobi Ragghianti la sua profonda vocazione era la poesia. Ma, è risaputo, essa non dà di che vivere, perciò si adattò all'insegnamento e agli studi d'arte, non solo italiana. Mio padre, sia pur in disaccordo – anche profondo – con molte ipotesi e indicazioni attributive di Parronchi, ne rispettava la buona fede, l'impegno quasi sacerdotale. Tant'è che in diversi concorsi universitari sostenne la qualità originale del suo operare, riuscendo anche a farlo inserire in una terna.
Sugli entusiasmi attributivi ci fu in giro nell'ambiente molto sarcasmo e "compatimento" che amareggiarono la sensibilità (reale) dello scrittore. Personalmente penso che mia madre avesse ragione quando giustificava alcune delle formidabili "cantonate" di Parronchi, secondo il quale per certi versi il catalogo delle opere di Michelangiolo, Paolo Uccello, Leonardo ecc. sarebbe molto più ampio. Licia Collobi pensava che lo studioso trasfigurasse certe situazioni in visioni poetiche per le quali il dato reale si adattava alla sua proposta fantastica in una sorta di transfert.
Non don Chisciotte, il quale esibiva un'arroganza demente, ma un umile, solerte ricercatore alchemico che trasformava vile metallo in oro. E, in effetti, in certe sue affabulazioni Parronchi, quand'ero bambino mi sembrava un composto sacerdote oracolante.
Per la poesia di P. riproduco un quartino della benemerita rivista "Sinopia" distribuita in Versilia, contenente due componimenti. A questi aggiungo la poesia Libertà. Riporto poi la lettere con cui il 6 agosto 1951 Parronchi annuncia la sua intenzione di lasciare la Segreteria de "La Strozzina". Quindi, a malincuore per via dello stato di riproducibilità, posto la fotocopia di un'inaugurazione sempre presso "La Strozzina", ripromettendomi di sostituirla con l'originale, se reperito nel maremagnum del mio disordine. In conclusione mi sembra interessante rendere noto il curriculum (1963) di Parronchi e poi la scaletta di C.L.R. per la stesura del giudizio in un concorso universitario del 1964. Tralascio la corrispondenza (1976) tra C.L.R. e Parronchi a proposito di Ercole che sbarra il leone nemeo (pubblicato da R. su "Critica d'Arte", n.146, mar.-apr. 1976, pp. 72-74), che intendo pubblicare insieme all'articolo e alle illustrazioni.
F.R. (27 luglio 2021)

Dopo la scheda iniziale di Parronchi, sinteticamente centrata sulla qualità pittorica dell'artista, procedo con questa nota redazionale, volta a descrivere le documentazioni preposte, che spero diano un'informazione critica e visiva esauriente dell'opera di Moses Levy (1885-1968). Si procede con la scheda n.43 dal volume “Mostre permanenti”. Carlo L. Ragghianti in un secolo di esposizioni (Fondazione Ragghianti, Lucca 2018), compilata da Elisa Bassetto, la quale rendiconta dell'interessamento di C.L.R. circa l'opera di Levy già in atto nel 1953 durante l'esposizione a “La Strozzina” di Firenze. Poi si riproducono in calce alla scheda le lettere del 27 febbraio e del 30 marzo 1953, nelle quali C.L.R. ragguaglia Moses Levy dell'iniziativa in corso.
Non potendo certo riprodurre integralmente l'imponente e importante monografia del 1975 (edita da “Critica d'Arte”, curata da Rosetta Ragghianti, con testo critico di 38 pagine di Carlo Ludovico Ragghianti) ho dibattuto tra di me come sopperire. Ho deciso, quindi, circa questa “nostra” monografia (distribuita abbastanza fortuitamente ma presto esaurita e ricercata) che del testo critico di C.L.R. sarà sufficiente riportare la sintesi da lui effettuata per il volume Novecento toscano. Toscani di adozione, edito nel 1979 per conto della Banca Toscana. Se in seguito mi risultasse che l'accesso al testo integrale presenta difficoltà di reperimento nelle biblioteche, provvederò a postarlo. Dalla monografia riprendo comunque moltissime illustrazioni a colori, la Biografia e la Nota bibliografica. Oltre a ciò, riproduco la pagina promozionale e la copertina. Riporto anche due recensioni: quella di Tommaso Paloscia su “La Nazione” di Firenze del 15 febbraio 1976 e quella del 19 febbraio di Alfredo Righi per "L'Approdo letterario".
A proposito dell'articolo di Paloscia; devo rendere noto, con rammarico nei confronti di mio padre e di Paloscia, quando scoperto in quest'occasione: nella Bibliografia degli scritti di C.L.R. (U.I.A., Firenze 1990) questo scritto è stato inserito come opera di Ragghianti. E', ad evidentiam essendo firmato, di Tommaso Paloscia. Questa “colossale” svista è opera, non controllata a dovere, di uno di quei vispi collaboratori, scelti dalla curatrice del libro, in tutto affaccendati fuorché su quel determinato incarico per il quale furono “profumatamente” retribuiti, in rapporto alla qualità della loro partecipazione.
Riproduco, ritenendoli utili per conoscere meglio le opinioni di mio padre, anche gli elenchi – stesi personalmente da C.L.R. – degli invii del libro per recensione, per servizio stampa, per omaggi. Farli era sua abitudine, anche se non sempre gli editori li applicavano in sostituzione delle loro inutili liste, quasi sempre desuete. Segue, dato che per caso l'ho trovato, l'estratto della lettera del 26 ottobre 1975 a Giorgio Bonsanti, nel quale C.L.R. accenna al nucleo portante del suo saggio.
Piuttosto complessa è la storia della realizzazione pratica della monografia – però egregiamente stampata – la quale in un primo tempo doveva essere edita dalla Vallecchi gestione Buzzi, finita a gambe all'aria nel 1974 per megalomania e deficit economico insostenibile persino per la Montedison (la proprietaria effettiva). La Nuova Vallecchi, rappattumata per volontà politica della DC lombarda (i futuri leghisti di oggi) sui resti della defunta, dopo qualche traccheggio, declinò l'incarico, che avrei dovuto gestire e realizzare io per competenza di redattore interno. Passato il materiale grosso modo approntato – esiguo, per altro – a mia sorella Rosetta (non potendomici dedicare perché nel tempo libero curavo la redazione di “Critica d'Arte”), la quale con tenacia ed acribia gestì tutte le fasi e tutti i collaboratori tecnici con insospettata fermezza ed efficacia. Riuscì anche a contenere la tendenza di perfezionamenti in corso d'opera di nostro padre. Risultato: davvero un bel libro, degno della migliore editoria d'arte. Le brevi lettere del 3 dicembre 1966 di C.L.R. a Levy e del 2 gennaio 1967 da Levy a Ragghianti sono alla base dell'attenzione di C.L.R. all'opera del pittore, che lo porterò a convincersi di progettare un libro da proporre a Nello Levy, il figlio, e agli altri familiari dell'artista (10 gennaio 1969). Si posero così le basi di quella che sarà la monografia del 1975. Seguono alcune lettere che tratteggiano il percorso della realizzazione dell'opera. Sorprende l'attenzione, il tempo, che C.L.R. dedica a questo progetto e poi alla sua realizzazione; inconsueta anche la pazienza di dover avere a che fare con persone inesperte e digiune di concreti problemi tecnici inerenti la fabbricazione di un complesso prodotto tipografico come quella monografia. Ciò in parte mi pare dimostri una stima non usuale per Levy e l'ammirazione per la sua opera. Soprattutto penso che dimostri un radicato aspetto caratteriale di tenacia e di coerenza alle proprie scelte e decisioni, che C.L.R. profuse in tantissime occasioni della propria attività pratica, sempre subordinata a quella intellettuale.
Per parte mia la partecipazione a quest'opera fu modesta, limitata a doverose indicazioni e spiegazioni a Rosetta. L'unico consiglio importante fu il suggerimento di realizzare la pubblicazione ancora con il tradizionale metodo tipografico dei clichés di metallo per le illustrazioni e l'uso della monotype per la composizione dei testi. Infatti l'offset allora incalzante era ancora malgestito, per le illustrazioni specialmente. Suggerii anche la tipografia Conti Tipocolor perché mi fidavo del proto Barbugli.
Il secondo scritto di C.L.R. su Moses Levy fu l'autorevole introduzione Viatico di Moses Levy, il quale, ribadendo e approfondendo punti del saggio del 1975, si conclude con la rivendicazione dell'aspetto puro della poesia nell'arte:
A questo intervento pubblicato nel Catalogo per l'importante mostra a Viareggio, Palazzo Paolina (settembre-ottobre 1980), segue lo studio di Raffaele Monti, ampiamente articolato, con l'intento di “ribadire e accrescere qualche problema che in scritti precedenti avevamo volutamente riassunto o rimandato”.
Oltre a farmi piacere per il riconoscimento dell'attività storico-critica di mio padre su Moses Levy, ritengo opportuno riprodurre anche il contributo di Silvestra Bietoletti Quel “grande mare celeste” (“LUK”, n.20, 2014), che nel sottotitolo Considerazioni di C.L.R. sulla pittura di Moses Levy contiene la ragione principale dell'articolo. L'altro aspetto illustrato dall'autrice è la recensione alla mostra Moses Levy, luce marina. Una vicenda dell'arte italiana 1915-1935 (Viareggio, Centro Matteucci per l'arte moderna, 2014) a cura di Susanna Ragionieri, con contributi di Marcello Ciccuto, Giovanni Mariotti, Isabella Tobino. Moses Levy si è espresso magistralmente nel dipinto ad olio, tecnica che si riscontra nella quasi totalità delle illustrazioni scelte per questo post. L'artista è anche noto ed apprezzato dalla critica e dal collezionismo per gli acquarelli, numerosissimi, da lui delineati nella lunga
carriera. Perciò non mi addentro nell'illustrazione di questo aspetto, come nei seguenti sempre riguardanti le varie tecniche grafiche, anche perché non sono in grado di organizzare una sequenza rappresentativa. Temo anche che non ci siano volumi e saggi esaurienti nell'argomento.
Notevoli, freschissime ed eleganti, sono le poche litografie riprodotte nella monografia del 1975; così come incisive e sicure sono le poche incisioni che ho visto finora. Disegni e monotipi sono anch'essi poco noti e riprodotti, forse anche meno operati dall'artista, però anche in questo caso occorrerebbe un numero di fogli più nutrito di quelli disponibili per proporre una panoramica visiva significativa.
Illustro, infine, questa parte documentaria del post con cinque esemplari di opere di Moses Levy, che mi hanno colpito a impaginazione completata della sequenza delle illustrazioni. Due dipinti furono esposti alla Biennale di Venezia (1928; 1930); una riproduzione di arabe accovacciate, forse del 1931 (nell'Esposizione Arti Comunali Roma); una figura femminile di sapore domestico; un vivace panorama di stampo futurista.
F.R. (31 luglio 2021)
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