Alessandro Kokocinski (1948-2017) è stato un pittore di vitale e vistosa passione per l'arte, esplicata anche in sculture e in scenografie. Nato in Italia, cresciuto in Argentina, di nuovo italiano fino alla morte, è stato uomo dalla vita per forza delle circostanze avventurosa ed è riuscito sempre a privilegiare e difendere la propria attività creatrice.
Al solito wikipedia fornisce un'ottica di parte dell'artista, trascurando del tutto il periodo italiano iniziale, quando “Koko” non sarebbe probabilmente uscito dall'indigenza e dalla marginalità senza le attenzioni dei fratelli Russo galleristi e la fraterna amicizia del pittore Riccardo Tommasi Ferroni più anziano di una dozzina d'anni alla cui maniera di dipingere per qualche tempo si è ispirato, pur conservando il proprio inconfondibile ductus dalla pennellata spesso “furiosa”. Ovviamente del volume con il saggio di Carlo L. Ragghianti fragoroso silenzio, come quando gli stronzi cadono nel water. Ovviamente non so se questo percorso biografico rispecchi la volontà di Kokocinski, anche se è presumibile che sia adeguata all'ambiente più recente del pittore. D'altra parte cercare negli artisti qualità umane e virtu sociali e morali differenti da quelle strettamente legate alla loro espressività è del tutto inutile, anche se ciò può fare...arrabbiare.
In questo post riporto soltanto il rapporto fugace però intenso tra Kokocinski e C.L.R., il quale estraneo all'ambiente abituale della Galleria dei Russo (rappresentantre, ad es. di Annigoni, di cui vidi nella loro sede di via dei Servi a Firenze un'orripilante esposizione riguardante le decorazioni affrescate della Chiesa di Ponte Uzzanese e i relativi studi e abbozzi) accettò di verificare di persona le opere dell'artista soprattutto perché questi risultò (ed era) aver avuto rapporti conflittuali, antagonisti con la giunta militare che in Argentina aveva imposto nuovamente una dittatura, ferocemente assassina. Perciò nel 1982 mia sorella Anna accompagnò in automobile nostro padre a Labro in provincia di Rieti dove, in una giornata esclusivamente dedita alla visita dello studio di Kokocinski, C.L.R. e K. ebbero un intenso scambio di opinioni, ricordi, considerazioni politiche e, soprattutto, di problemi e visioni artistici.
Voglio ricordare, tra parentesi, in questa circostanza un personaggio importante nell'infanzia lucchese di mio padre: zio Amilcare, un pampero – con sempre in testa il tipico cappello dei gauchos – italo-argentino che si esprimeva in un italiano primitivo e barocco, il quale aveva sposato, se non erro in seconde nozze, una delle sorelle del nonno mio omonimo.
Costui aveva a disposizione un angolo di spazio autonomo nel podere familiare di San Filipo alle porte di Lucca dove, quando si riposava dai blandi lavori d'orto e di pollaio, attingeva da un barilotto col coltello strisce di carne in una salamoia del Campinas brasiliano (nel quale da giovane aveva lavorato da migrante). Seduto, cerimoniosamente l'offriva poi anche al pronipote che la trovava squisita, infine saziato lo zio Amilcare si accendeva un sigaro toscano (della manifattura di Lucca) e raccontava al bambino storie di pampas, banditos, ecc. Ricordi mitici, “lessico familiare”.
Dalla succinta corrispondenza scritta, che ritengo sia integrale, è esplicito un rapporto simpatetico tra le loro personalità; rilevo anche che il telegramma con cui R. informa di non poter presenziare all'inaugurazione della Mostra di K., non rappresenta una scusa, giacché la sua salute era in quel periodo soggetta a violente crisi broncopolmonari, avvisaglie dei vicini disturbi finali. La lettera di R. a tal avv. Ciantelli, invece, è un esempio del consueto, se così si può dire, defatigante iter per ottenere l'attenzione di piccoli personaggi politici parolai e vanesi su faccende serie, importanti, sociali e intellettuali cui erano preposti negli Enti culturali nei Comuni ecc. ecc. Ciò ieri come oggi. Parassitismo di regime, ostacolo alla competenza, veicoli di corruzione delle persone alle fondamenta della democrazia. Energie spese invano per una sacrosanta esposizione a “La Strozzina nuova”, paralizzata da impotenti veti incrociati.
L'articolo di Paloscia, cronaca onesta, lo riporto perché temo rappresenti l'unico riscontro mediatico del passaggio a Firenze e in Toscana di un artista originale, non banale, drammatico e ironico, con una visione “scenografica” al di là della liliale natura morta di zonali coevi pittori locali.
Il dipinto che segue questa nota redazionale fu dono spontaneo ed affettuoso di Kokocinski a Carlo L. Ragghianti. Purtroppo la fotografia domestica fatta con mezzi di fortuna ad un'opera ingombrante, posta subito sotto il soffitto, che noi vegliardi non siamo in grado di spostare, non rende piena giustizia all'arte di Kokocinski. Se ne intravedono comunque le qualità cromatiche e stilistiche, la composizione su piani paralleli emergenti. Ma anche così “sacrificata” la lettura del dipinto lo mostra opera importante nel panorama dell'artista, quadro di impatto franco e diretto, da osservare in sede se non proprio museale, di evidente alto livello culturale.
F.R. (8 febbraio 2021)
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