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2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28 settembre 2018
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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
Nel
1939, recensendo la terza Quadriennale d'Arte Italiana (“La Critica
d'Arte”, V, 1, XXIII, gen-mar. 1940) Carlo L. Ragghianti a
proposito di Ugo Bernasconi espresse il seguente giudizio critico:
Piuttosto
severo e limitativo, quest'intervento è in linea con altri commenti
scritti dallo studioso su altri artisti del periodo. Personalmente
sono d'accordo con mio padre, anche se per carattere forse più
accomodante, addurrei in difesa del pittore un suo costitutivo stato
malinconico. Comunque in Bernasconi un certo compiacimento alla
mestizia deve esserci stato perché non è possibile che un
patriarca con una famiglia numerosa ed affettuosa non abbia dipinto
un quadro di soggetto domestico in cui si vedono visi sorridenti,
espressioni distese. Dato che
comunque gli psicologismi niente hanno a che spartire con l'espressione formale, questo tipo di notizie lascia il tempo che trova. Siccome
Ugo Bernasconi è un maestro tutto sommato sottostimato dalla
critica, voglio riportarne un ricordo tramite la penna di Raffaele
Cassieri (1905-1986), poeta, critico d'arte e poligrafo,
sorprendentemente ignorato dopo la morte. Cassieri e Ragghianti si
conoscevano ed hanno avuto scarsi rapporti diretti; con Pier Carlo
Santini, invece, ci fu una buona amicizia negli anni Ottanta.
L'articolo di Cassieri (“Epoca”, 16 giugno 1969), equilibrato ed
affettuso, lascia un ricordo radicato nella mente del lettore.
Dalla
rivista “Arte Mediterranea” (gen.-feb. 1949), traggo una pagina
di Pensieri ai pittori nella quale Ugo Bernasconi – che fu
anche scrittore d'arte – pubblica alcuni suoi aforismi. Credo che
l'ultima esposizione di opere del pittore canturino sia
avvenuta nell' autunno del 1991, quando Claudia Gianferrari pubblicò
un Catalogo illustrato con molti dei dipinti più rappresentativi del
pittore. L'intento palese ed espresso era quello di offrire una
valida occasione di rivisitazione (come sottolinea recensendola la
solerte critica d'arte di “Famiglia cristiana” Maria Vittoria
Mayer scrivendo che quella sarà “un'occasione che per molti
equivarrà ad una autentica sorpresa”. Nel Catalogo è presente
anche un testo di Rossana Bossaglia che si conclude con la frase: “
Egli rappresentava degnamente, ed avrebbe per lungo tempo ancora
rappresentato, la più significativa tradizione lombarda, immune cioè
da foggiature vernacole, fedele a uno stile privo di orpelli, lo
sguardo aperto verso il mondo con aristocratica riservatezza”.
Quanto auspicato in quella circostanza non è avvenuto. Temo anzi che
nei ventinove anni da allora trascorsi la memoria di Bernasconi si
trovi tuttora nel Limbo degli artisti.
F.R. (22 maggio 2020)
Aldo
Carpi de' Resmini (1886-1973) è stato scrittore e pittore, direi
emblematico, di Milano. Nella capitale lombarda egli fu mitico
Direttore dell'Accademia di Belle Arti di Brera; cristiano nella vita
e nell'arte e ciononostante per delazione fu denunciata la sua
origine ebraica: l'atto infame gli costò la detenzione nel campo di
Gusen e quindi Manthausen.
Come
sovente accade ai mostri sacri, ai simboli di un luogo e di
un'epoca dopo la loro morte, la fama passata non suscita più
attenzioni perché data per scontata; nemmeno le “rivisitazioni”
sono efficaci, anche perché spesso inficiate da preminenti interessi
speculativi.
Nel
1977 presso la prestigiosa Galleria San Fedele, emanazione
dell'omonimo Centro culturale gestito dai gesuiti, furono esposti i
Disegni di guerra (1915-1916) di Aldo Carpi prefati da
un breve testo di Giorgio Mascherpa (1930-1999), critico d'arte di
orientamento cattolico molto attivo e stimato nella diffusione storico-critica dell'arte
contemporanea. Ripropongo
in questo blog il testo di Mascherpa e l'intero dépliant perché
contiene una documentazione visiva altamente espressiva di quel
cruciale conflitto mondiale, nel quale un secolo fa combatterono i
nostri nonni in nome di ideali ben presto traditi col fascismo. Il
testo del critico lombardo, inoltre, presenta la vita e le opere di
Aldo Carpi con notizie integrative a quelle della scheda di De Grada.
Anche
per Aldo Carpi vale quanto scritto per Libero Andreotti (v. post del
16 giugno 2020) circa la conoscenza e l'apprezzamento dell'opera
dell'artista. Cioè che questi aspetti erano effettivi e sostanziali
nella mente dello studioso che – semplicemente – non aveva avuto
l'occasione e lo stimolo direto di esternarli. E che comunque ne
esisttono tracce in citazioni puntuali in un discorso, una ricerca
avente per soggetto un altro argomento.
F.R.
(23 maggio 2020)
Di
questo artista, oltre a quanto puntualizzato da De Grada nella scheda
della Mostra 1915-1935, si riportano tre interventi prebellici di
Carlo L. Ragghianti: Carena (in Studi sull'arte
italiana contemporanea, in “La Critica d'Arte”, IV, 1,
III, 1936, pp. 148-152, tavv. 103-105), Indicazioni sulla pittura
italiana contemporanea (in: “Leonardo”, n. 3, 1936,
pp. 74, 75); La III Quadriennale d'arte italiana (in:
“La Critica d'Arte”, V, 1, XXIII, gen.-mar. 1940, pp. 114, 115).
Carena
è stato pittore famoso, gravido di riconoscimenti (persino nel
Direttivo di “Le Arti”, organo ufficiale della Direzione delle
Belle Arti, nonché Accademico d'Italia) fino alla caduta del
fascismo. Dopo – e non è stato l'unico – è rimasto a galla
appoggiandosi alla politica, nella fattispecie quella clericale. Gli
saranno tremate le... membra quando a Firenze – dopo aver retto a
lungo la Direzione dell'Accademia di Belle Arti – dopo la
Liberazione del 1944 fu inserito nelle liste di prescrizione per
l'epurazione quale Accademico d'Italia. Liste, detto parenteticamente
male applicate e presto, prestissimo vanificate, soprattutto per
volontà della DC e del PCI che cercavano disperatamente tra i
fascisti quadri direttivi, classe dirigente da cooptare, previa
riverginatura veloce e approssimativa. Fenomeno che si è ripetuto
di recente, ed ancor oggi si vede, nei figli e nipoti di costoro, già
comunisti “ortodossi” tornati alle origini dei padri e degli avi.
In
una lettera del 26 novembre 1950 inviata a Ragghianti, Giuseppe
Marchiori, critico risoluto e attivo, di famiglia
assai abbiente ragione per cui si poteva permettere una maggiore indipendenza ed atteggiamenti se non
proprio coraggiosi almeno non conformistici, scrivendo di varie
faccende, tratteggia Carena nel modo seguente: “Ebbene con certa
gente agisco nello stesso modo. Per me Carena è un vecchio istrione,
un finto apostolo, una subdola carogna, malgrado le ipocrisie del
cuore e della fede. Versa lagrime di coccodrillo e intanto sbava il
suo veleno di fascista nostalgico”.
Posso
assicurare che rapporti diretti tra Carena e mio padre non ce ne sono
stati. La presenza di questo pittore in mostra non credo sia stata
sollecitata in modo particolare da qualche critico del Comitato
esecutivo, anche perché C.L.R. non era inciucista e non avrebbe
accettato né imposizioni, né scambi tattici (purtroppo – invece –
inevitabili nei concorsi per professore ordinario dell'Università).
Soltanto la magnanimità non settaria quale animava C.L.R. accettò
Carena perché anche persone umanamente e politicamente discutibili o
riprovevoli possono aver contribuito alla cultura artistica con
qualche originalità.
Nell'interno
della sequenza iconografica di dipinti di Felice Carena si trova la
scheda critica del Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955 scritta
da Angelo Dragone (1921-1996) critico de “La Stampa” di Torino e
fondatore (assieme alla moglie Jolanda Conti) del Centro piemontese
di studi d'arte moderna e contempranea di Torino.
F.R.
(24 maggio 2020)
Degli
artisti affidati alla penna di Raffaellino De Grada, Achille Funi
(1890-1972) risulta essere il pittore più notevole
storiograficamente e tra quelli più coerenti alle proprie
intenzioni. Lo scultore Andreotti lo sovrasta per finezza
interpretativa dei “modelli” classici e soprattutto degli
immediati precedenti internazionali, francesi in particolare. Però
anche la cultura visiva di Funi è notevole e recepita con rigoroso
orientamento fedele alle proprie ideali intenzioni creative.
Da
promessa del Futurismo quale “pupillo” di Boccioni,
spontaneamente Funi sposta la propria operatività verso dettami
figurali che sono stati classificati come “richiamo all'ordine”.
Quindi, come ha scritto Fortunato Bellonzi “Funi è considerato, a
buon diritto, fra i protagonisti di quella stagione
pittorico-letteraria che fu chiamata Futurismo.
Ma...egli fu ben presto tra i primi a esigere e a mettere in pratica
una figuratività solenne e classica”. Cambiamento coincidente
nei fatti concreti con una visione fascistica delle arti
figurative, o meglio appropriazione fascista di quelle tipologie
espressive retoriche, approssimative, con
larghe concessioni
al “pompierismo” più vieto. Funi anticipa (vedasi ad es. il
bozzetto per l'affresco nel Comune di Bergamo) persino l'Annigoni
declinante, tetro e piuttosto volgare delle opere inerenti gli
affreschi della chiesa di Ponte a Buggiano. Vidi quei dipinti e quei
disegni in una deplorevole esposizione degli anni Settanta
patrocinata dai galleristi romani Russo in un salone nobiliare in via
dei Servi a Firenze, che fu sede della Federazione provinciale del
PSI, quando ancora credevo che militando si potesse contribuire a
migliorare il mondo.
Carlo
L. Ragghianti, che pur inserendolo in questa Mostra 1915-1935
contribuì alla valutazione storiografica di Funi quando nel 1936 in
Leonardo” (n. 3, p. 77) scrisse le tre righe seguenti: “Funi che
peraltro si va sempre più accademizzando in un formulario fra
pompeiano e neoclassico, e recentemente quattrocentesco”. Più
diffusamente se ne interessò ne La III
Quadriennale d'arte italiana (in
“La Critica d'Arte”, V, 1, XXIII, gen.-mar. 1940, pp. 115, 116):
Nel
novembre a Funi fu richiesto da Ragghianti, come agli altri artisti
considerati da interpellare per primi, di donare un'opera per il
Museo Internazionale d'Arte Contemporanea da costituirsi in Firenze
sotto l'egida del Comune. L' artista rispose allo studioso con una
lettera un po' piccata ma garbata con la quale declinava l'invito
“perché sono dell'opinione che ho sempre avuto, che l'arte moderna
di fronte all' Arte Antica non può assolutamente resistere”.
De
Grada, che nella scheda della mostra dà un'interpretazione stringata
e cauta, successivamente ha pubblicato molti interventi su Funi,
facendone una sorta di suo punto fermo nell'ambito della pittura
italiana del Novecento. Scelgo e qui riporto volentieri l'articolo che il critico milanese pubblicò nel 1990 su “Arte”, in occasione del
centenario della nascita
dell'artista. Ricordo – come fonte bibliografica – un precedente
articolo sulla stessa rivista (gen. 1987) in cui De Grada sviluppa
alcuni dettagli complementari. Sempre De Grada è l'autore della
scheda del Catalogo/Mostra “Arte in Italia 1935-1955”, a cura di
Pier Carlo Santini ed edito nel 1992, qui collocata a circa metà
della documentazione fotografica.
In
futuro spero di poter portare ancora un contributo su Achille Funi
consistente nella riproduzione di una brochure
contenente dieci dipinti di donna degli anni Sessanta, presentati da
Eugenio Montale. Ad essi aggiungerò una quindicina di autoritratti
dell'artista, diversi da quelli qui illustrati.
F.R.
(25 maggio 2020)
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