Carlo e Licia

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giovedì 30 luglio 2020
lunedì 27 luglio 2020
Pittura fiamminga, 1.
Questo
libro (Pittori Fiamminghi, Mondadori, Milano, 1962) è un
tipico prodotto della disinvolta editoria degli anni del Boom
economico e della crescita dei
corpi redazionali editoriali, infarciti anche di nomi ragguardevoli,
però con effettivi esecutori abbastanza raccogliticci di cultura
prevalentemente generica ed orecchiante. Il testo critico –
volutamente “divulgativo” sulla scia di quello che caratterizzò
“seleArte” (1952-1966) – è rigoroso concettualmente.
Purtroppo
le superfetazioni redazionali fecero sì che il materiale
illustrativo in b/n e a colori stravolgesse quanto indicato
dall'autrice Licia Collobi, la quale aveva fornito elenchi
illustrativi e testi relativi di sicura qualità ed omogenei
al progetto.
Dato
che acquisire certe illustrazioni comportava lavoro (sono
osservazioni che faccio con cognizione di causa essendo stato
redattore) di corrispondenze in inglese e complicazioni singolari da
risolvere caso per caso – stante anche una responsabilità
editoriale incompetente e debole – fu seguita la linea di minor
rigore e di facile soluzione. Le molte proteste e proposte
alternative della Collobi furono ora sì ora no accolte, in parte sì
e in parte no modificate ulteriormente o rifiutate. Così passò del
tempo, fino a quando o si procedeva subito o non se ne faceva di
niente. Naturalmente l'editore procedette.
In
conclusione: le didascalie delle illustrazioni , come la scelta e il
taglio delle immagini sono stati operati dalla redazione dell'editore
utilizzando in modo arbitrario quanto fornito dall'autrice.
Nonostante
tutto ciò, il libro non è da scartare, anzi – data anche la alta
tiratura – ha contribuito alla migliore conoscenza di questi
pittori, quasi tutti meno noti e presenti alla nostra cultura.
Il
testo di Licia Collobi è tuttora valido e di lettura affabile.
Pittori
fiamminghi, libro che compare
nelle bibliografie “a cura di Giuseppe Argentieri”, non vede
citato il nome dell'effettiva autrice Licia Collobi Ragghianti in
nessun luogo.
Licia
Collobi è stata una “negra” (come si dice in gergo editoriale di
un autore effettivo assente, sostituito da un impostore, in inglese
il termine è ghost-writer)? Sì
ma per un caso curioso, anomalo, per certi versi divertente. In primo
luogo non le fu mai richiesta nessuna clausola capestro restrittiva e
di riservatezza, come avviene di solito (come posso per quel che mi
riguarda testimoniare).
Il
contratto, riprodotto qui di seguito, infatti riconosce all'autrice
il suo operato; le viene soltanto richiesto di consentire “che la
pubblicazione esca senza il suo nome e con la menzione a cura di
Giuseppe Argentieri”. Il compenso di £ 650.000 equivale oggi a
almeno 7 o 8 mila euro. Non male, soprattutto nel 1962!
Va detto anche perché e come si sia presentata questa occasione, dovuta al caso non al bisogno impellente. Sul come si è presentata la faccenda posso testimoniarlo perché ero presente.
Alfredo
Righi allora era impiegato alla Mondadori, che per altro stava
lasciando perché già si stava concretizzando l'ingresso di
Pampaloni come direttore della Vallecchi, anche grazie ad Alfredo che
gli faceva da segretario e promotore di immagine. Quando veniva a
Firenze, spesso ci veniva a trovare, così come fece all'inizio del
1962, in una giornata tersa e solatia come a volte la detestata
capitale toscana regala.
Arrivò
verso mezzogiorno e, dato che il babbo era occupato nello studio, lo
portai dalla mamma nel suo salotto-ufficio. Parlando del più e del
meno mia madre chiese a Righi se conosceva Tiziano Palandri,
partigiano pistoiese tra i più fedeli comandanti e compagni di Parri
e Ragghianti. Certo rispose Alfredo, che chiese il perché della
domanda: la risposta fu che il povero Tiziano era in testa alla mamma
perché a breve la nostra famiglia gli avrebbe dovuto una cifra
corposa per la fornitura di nafta per il riscaldamento di casa, cosa
che le creava un momentaneo e imprevisto problema economico. Dopo un
po' l'Alfredo – esuberante come spesso era – declamò che aveva
lui la soluzione per questo fastidio economico. Quindi raccontò che
un dirigente della cerchia familiare di “Arnoldo”
(confidenzialmente) cercava un autore affidabile cui far scrivere un
testo agile sui pittori fiamminghi, molto ben pagato. Fu così che
mia madre divenne ghost-writer,
o “nègre” o “negro” che dir si voglia, anche se il
politically orripila
al suono italiano e francese.
Giustamente
mia sorella Rosetta mi fa notare che ho dimenticato una precisazione
più che opportuna. Nel 1962 Licia Collobi era già considerata
nell'ambiente professionale come una specialista affermata della
pittura fiamminga e olandese. Va ricordato che nella importante, e
per certi versi criticamente innovativa Mostra d'Arte
Fiamminga e Olandese
dei secoli XV e XVI (Palazzo
Strozzi, Firenze, maggio-ottobre 1947), la studiosa triestina non fu
soltanto determinante collaboratrice al montaggio dell' Esposizione,
fu anche la redattrice unica (assieme ai contributi di Carlo L.
Ragghianti) del Catalogo scientifico (Edizioni Sansoni,
Firenze, 1948), di veste modesta come imposto dai tempi ma prestigioso.
E da allora si occupò sempre dell'impresa avviata da C.L.R. – ma
presto trascurata – del thesaurus
fiammingo dal 1946 nello Studio Italiano di Storia dell'Arte.
Va
infine tenuto presente che al 1962 numerosi erano già i contributi
pubblicati da Licia Collobi su “Critica d'Arte” e “seleArte”,
come si può riscontrare nella sua bibliografia pubblicata per cura
di Rosetta Ragghianti e poi anche in questo blog (vedere il post del
2 novembre 2016). Attività specialistica poi proseguita sempre con
studi e ricerche fino alla morte avvenuta il 27 luglio 1989 quando
aveva dato il si stampi al suo libro postumo Dipinti
fiamminghi in Italia (1420-1570). Catalogo
(Calderini, Bologna 1990).
F.R.
(9 giugno 2020)
venerdì 24 luglio 2020
{Scaffale di Irene} Come fu rapita Pearl Button, di Katherine Mansfield.
In
questo breve racconto della prolifica scrittrice neozelandese,
eccellente autrice di racconti brevi, affronta in epoca non sospetta
– l'articolo sotto riportato è tratto dal numero del 20 novembre
1949 della rivista L'Europeo – il
tragico problema del razzismo attraverso gli occhi candidi di una
bimba ancora immune dal condizionamento sociale e dal pre-giudizio
riferito, in questo caso, alla comunità zingara – che oggi
chiameremmo rom. Incapace di affibbiare ai loro comportamenti le
connotazioni negative su cui un adulto si sarebbe concentrato, Pearl
sposta l'attenzione con il suo faro di innocenza sulla piacevolezza
del vivere senza costrizioni, a contatto con una natura non
imbrigliata al volere umano e alla gioia
selvaggia di lasciarsi andare che certamente non era permessa all'epoca del racconto, soprattutto per le donne e purtroppo per estensione anche alle bambine. Il
tema del razzismo è largamente in voga in questo periodo, tuttavia
non è per questa ragione ed anzi è nonostante questo fatto che ho
deciso di riproporre questo breve racconto perché credo che illustri
una faccia diversa di questa realtà umana – interna ed esterna.
Spero che non si sceglierà la via del politically correct a tutti i
costi, scegliendo di interpretarla come una sorta di abbellimento
romanzato di un rapimento, lettura sbagliata e francamente poco
intelligente di una storia breve che ho trovato efficace e quasi
commovente.
Irene Marziali Francis (22 luglio 2020)
mercoledì 22 luglio 2020
Impressionismo, 1. Ragghianti, Manet e Mallarmé.
Con
qualche rammarico, mi accorgo che alcuni dei tanti argomenti
importanti circa l'attività di Carlo L. Ragghianti – e a maggior
ragione – di Licia Collobi, sono stati trascurati in questo blog.
Probabilmente ciò è successo perché si è dato per scontato che
certi temi siano più noti, presenti, storicizzati. Nella fattispecie
è stato certamente accantonato ciò che riguarda gli Impressionisti.
Mentre
provvederò a risolvere alcune disarmonie stridenti, ritengo comunque
opportuno cominciare questa rievocazione da una fonte critica e
interpretativa contemporanea agli eventi.
Stéphane
Mallarmé si presta alla bisogna recuperando da “Critica d'Arte”
(fasc. 166-168, lug.-dic. 1979, pp. 47-56) Gli Impressionisti e
Edouard Manet, testo
misconosciuto di questo famoso poeta. Oltretutto anche il fascicolo
di “Critica d'Arte” fu pubblicato mentre la casa editrice
Vallecchi era in grave crisi, ragion per cui il fascicolo semestrale
fu distribuito soltanto agli abbonati (… e speriamo a tutti!) ma
non nelle librerie nazionali ed internazionali che ricevevano
abitualmente copie della rivista. Al
testo di Mallarmé segue Manet e Mallarmé
(pp. 57-68) di Carlo L. Ragghianti, scritto nel 1976 . Dopo i due
testi critici, per ricordare la figura di Stéphane Mallarmé
(1842-1898), eletto dai contemporanei nel 1896 “principe dei
poeti”, riporto una recensione da “L'Approdo” (2, 1952) opera
di Leone Traverso (1910-1968), traduttore e poeta, ad uno scritto di
Carlo Bo, suo rettore all'Università di Urbino. Riproduco anche
alcuni ritratti del poeta e il presunto Autoritratto,
nonché un suo autografo per la gioia dei grafologi, i quali
presumono di individuare la personalità di un essere umano dalla sua
calligrafia. D'altro canto le analisi delle zampate feline o canine
per il momento non credo che abbiano esegeti attendibili.
Come
molti uomini di cultura del sec. XIX e della prima metà del sec. XX,
Mallarmé è stato anche disegnatore, come si può vedere dal
seguente “fumetto” rivolto all'amica “demi-mondaine” Méry
Laurent (1849-1900) conosciuta nell'Atelier di Manet:
La
poesia di Mallarmé ha ispirato illustrazioni a diversi pittori. Qui
voglio riprodurre la cartella litografica disegnata da Aldo Salvadori
L'après midi d'un faune (ed.
Franco Riva, Verona 1973, es. n. 35, arricchito di una quinta tavola,
inserita poi dall'artista, rappresentante busto e testa di profilo
del fauno cinto d'alloro).
Ricordo,
in conclusione, che nel 1897, l'anno prima di morire, Mallarmé
pubblicò il testo poetico Coup des dés.
Enigmatico e sorprendente componimento, soprattutto per la
collocazione nel foglio del testo con caratteri diversi per grandezza
e disegno, nonché collocazione in varie direzioni. Una
brillante anticipazione dei famosi
“Calligrammes”
(1918) di Guillaume Apollinaire. Di questa composizione di Mallarmé
nella rivista “Grafica” (n. 3, 1987) sono stati pubblicati due
studi analitici: il primo Mallarmé visivo
di Chiara Sibona (pp. 53-55), il secondo Analisi
dell'iconicità di “Un coup des dés”
di René Lindekens (pp. 56-65).
F.R.
(27 maggio 2020)
giovedì 16 luglio 2020
L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 - 13. BOCCIONI.
Post precedenti:
1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”; organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.
7. 3 luglio 2018
Artisti: FURLOTTI, METELLI, BARBIERI, BROGGINI, CAGLI, CAPOGROSSI.
8.
Artisti: CESETTI, FAZZINI, GENNI WEIGMANN, GENTILINI, GUTTUSO.
9. 16 settembre 2018
Artisti: Edita e Mario BROGLIO.
10. 20 novembre 2018 (1 parte), 5 dicembre 2018 (2 parte).
Artisti: LEVI, MAFAI, RAPHAEL MAFAI.
11. 28 dicembre 2018.
Artisti: Quinto MARTINI, MANZU'.
12. 21 gennaio 2019.
Artisti: MUCCHI, SASSU.
domenica 12 luglio 2020
Grammatica e sintassi della visione.
Forma senza figura e figura senza forma.
In
questo saggio (da “Critica d'Arte”, n.175-177, gen.-giu. 1981)
Carlo L. Ragghianti dimostra che - contrariamente alle convinzioni
correnti - cioè largamente prevalenti nella critica che l'arte
astratta nasce nell'Ottocento e quella cinetica nel 1895 (fratelli
Lumière), una analisi storica corretta prova che “l'arte astratta
è presente... dalla preistoria cavernicola” e che “l'arte
cinetica, cioè lo spettacolo automatico, è presente almeno
dall'Egitto antico nella storia della visione”.
Dall'excursus
storico probatorio della problematica inerente, soprattutto
dall'Ottocento e da Charles Blanc (Grammaire des arts du dessin)
l'autore giunge ad analizzare e ad indicare come corrispondente
metodologico il libro Modello e invenzione nel Dugento e
Trecento scritto da Maria Laura Cristiani Testi.
In conclusione il problema, tuttora in fase di dibattito, “Forma senza figura e figura coniata in forma sono realtà
proprie delle
civiltà... europocentriche... ma anche di civiltà estranee ...”. Da
questo scritto (1980) in poi Carlo L. Ragghianti si dedicò alla
stesura di un'opera già da lui ritenuta capitale, cioè di La
critica della forma. Ragione e storia di una scienza nuova (1986).
Mi
sembra opportuno ricapitolare quanto collegato direttamente ai
problemi della forma fino ad ora postati in questo blog:
- Forma e funzione (23 aprile 2018);
- Forma e figura (31 maggio 2018);
- Ancora forma e figura (9 agosto 2018);
- Forma è tutto (9 ottobrre 2018).
Ricordo,
infine, il saggio e le riflessioni di Enrico Moratti riguardanti il
volume La critica
della forma (30 luglio 2019 e 9 settembre 2019), a proposito del
quale seguiranno altri interventi in questa sede.
F.R.
(3 giugno 2020)
giovedì 9 luglio 2020
Giuseppe Prezzolini, 1.
Politicamente
e culturalmente sono stato, e rimango, sostanzialmente estraneo al
pensiero di Giuseppe Prezzolini. Però non v'è dubbio che qualche
pregio lo ha avuto, lasciando così qualche traccia nella cultura
laica del nostro Paese. Come “intellettuale” è stato un
interprete di Benedetto Croce in senso conservatore e a portare il
pensiero del filosofo alle estreme conseguenze di uno stallo
permanente di una sorta di paresi che lascia spazio solo
all'eversione di destra, come ben si vede oggidì.
Sia
chiaro che la mia ammirazione, il mio rispetto, nonché la devozione
ricevuta per “li rami” paterni nei confronti di Croce resta
intatta. Noto soltanto che, oltre ad essere grande storico della
cultura e del pensiero, il filosofo di Pescasseroli si impantanò
anche in un mediocre conservatorismo colluso con il peggior
filofascismo effettivo.
Quando
fu agente politico dal 1944 al 1948/49, Croce di fatto risultò
interprete della concreta reazione al pensiero moderno (per altro
spesso di retroguardia e sgangherato) derivazione però e stimolo
delle nuove esigenze (sacrosante) etiche e sociali di tanta umanità
reale, vivente, oppressa e sfruttata.
Non
a caso mio padre non seguì Croce politicamente; anzi egli e le sue
innovative intenzioni politiche furono le vittime dirette
dell'ottusa, sconsiderata politica liberale, la quale facendo cadere
il Governo Parri – proprio mentre stava diventando operativo dopo i
primi sei mesi postbellici confusi e convulsi dell'Italia e del mondo
– aprì le porte all'inevitabile primo compromesso storico, di cui
i Patti Lateranensi nella Costituzione repubblicana furono il
coronamento. Questo “antipasto” sì che era un ircocervo: e
cioè l'incoerenza esistenziale che ha partorito il Partito
Democratico.
Anche
il pensiero filosofico di Croce, congelato senza sbocchi e indirizzi,
ha risentito di un'involuzione che nei seguaci pedissequi si è
risolta in ritualità sterile e autoreferenziale.
Carlo
L. Ragghianti non è caduto in questa trappola tomistica, ha
individuato e percorso vie nuove tuttora praticabili con sbocchi
originali e potenzialmente antitesi
dialetticamente innovativa ricca di declinazioni eccentriche.
Personalmente sono grato a Prezzolini in conseguenza di un episodio nel quale egli era implicato, del tutto a sua insaputa. Mi è anche “simpatico” per certi suoi tratti di vita ai quali si è accostata la mia esistenza. La riconoscenza deriva dal fatto che grazie a lui il caro e tuttora compianto Delio Cantimori mi dette la lode all'esame di storia moderna. In una prova tutto sommato abbastanza brillante ma banale, forse anche per un po' di imbarazzo del “Micio” – come lo chiamava mio padre – nel dover giudicare il figlio di un caro amico. Fatto sta che Cantimori evidentemente pensò di facilitare il mio palese imbarazzo di trovarmi a tu per tu giudicato da un grande storico (una leggenda, come direbbero oggi), chiedendomi cosa sapessi e pensassi di Prezzolini. In
verità del controverso vociano avevo letto i titoli e gli indici dei
libri nella biblioteca del babbo e del Vieusseux; avevo studiato
quanto sostenuto al riguardo da Saitta e da Spini nei manuali, nonché
Garin e... avendo assistito – più che partecipato – a qualche
sgangherata discussione inerente tra i pochi colleghi con i quali ero
in amicizia. Però, con l'improntitudine dei vent'anni, con
l'inaspettata rielaborazione della memoria latente, riuscii a esporre
per cinque minuti vivacemente e con coerenza. Risultato – dopo un
paio di minuti di rito giudicante interprofessorale – trenta e lode
e una stretta di mano con complimenti.
L'affermazione
che alcuni tratti della personalità di Prezzolini mi fossero
aprioristicamente simpatici discende principalmente dal fatto che
egli, scocciato e reattivo nei confronti dell'andamento scolastico,
durante un anno di liceo – all'insaputa della famiglia – smise di
frequentare la scuola e si dette alla frenetica lettura di libri
nelle biblioteche, nonché alla scoperta della città. Ciò è quel
che esattamente feci anch'io nel 1955-1956, in prima liceo.
Prezzolini fu più “rigoroso” di me, perché non prese la
maturità né frequentò l'università. E fece bene. In quel luogo
(mi riferisco alle facoltà umanistiche), salvo eccezioni, i momenti
di formazione sono veramente pochi, il resto – sopratutto la “vie
de Bohème”, più o meno praticata, la politica, ecc. – sono
piacevole tempo perduto. Si consideri anche che agli inizi degli anni
Sessanta l'università era anche moralmente diseducativa perché
intendeva dare un'educazione privilegiata, incoraggiare atteggiamenti
corporativi, e quindi di fatto operava una discriminazione classista.
Tanto per fare un esempio: i bidelli interpellavano già da matricole
noi studernti “signorino!”. Seri, non beffardi o a presa per i
fondelli.
Rapporti
diretti di C.L. Ragghianti con Prezzolini non mi pare che ce ne siano
stati. Giudizi e commenti sì, scritti parenteticamente in altri
contesti; parlato: certamene con me, prevalentemente per inciso e on
demand. Riporto in questo post le due lettere nelle quali mio
padre scrive specificatamente di Prezzolini. Nella prima, il 19
gennaio 1978, rivolta ad Elio Gabbuggiani – allora sindaco di
Firenze – C.L.R. approva l'acquisizione del fondo documentario
sullo scrittore e caldeggia la sua collocazione al Gabinetto
Vieusseux. La seconda – significativa – datata 22 gennaio 1984,
Ragghianti la rivolge a Lapo Mazzei, Presidente della Cassa di
Risparmio di Firenze, a proposito del Centenario dalla nascita di
Prezzolini, morto da pochi mesi. Come esempio dei citati acquarelli
di Guarnieri, riproduco la coeva pagina pubblicitaria di “Nuova
Antologia”, risuscitata e diretta da Giovanni Spadolini. In un
prossimo post conto di pubblicare una serie di testi sull'ineffabile
fondatore della mitica “Voce”.
F.R.
(15 marzo 2020)
lunedì 6 luglio 2020
Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 15. RAFFAELINO DE GRADA, II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI).

Post Precedenti:
1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28 settembre 2018
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
sabato 4 luglio 2020
Codicillo a "La grafica di Hercules Seghers".
Si avvertono i lettori che al post L'enigmatico Seghers (vedi 11 luglio 2018), in data odierna è stato allegato come Addendum il testo pubblicato in "Critica d'Arte" n.110, rubrica "SeleArte", mar.-apr. 1970, pp. 56, 57.
mercoledì 1 luglio 2020
San Galgano e il suo territorio.
Esattamente
un anno fa fu riedito – da Edizioni Medicea Firenze – con veste
grafica e fotografie completamente nuove, la monografia San
Galgano e il suo territorio di Renzo Vatti e Vito Nicola
Albergo.
Anche
questa nuova edizione è corredata da una Introduzione scritta
da Carlo L. Ragghianti, mentre la stessa come Presentazione
apriva il volume intitolato La splendida storia dell'Eremo
e dell'Abbazia di San Galgano, Cantini edizioni d'arte, Firenze
(1985), illustrata a colori e in b/n con suggestive fotografie di
Andrea Pistolesi.
In
questa nuova edizione bilingue (Italiano-Inglese) Medicea edizioni
2019 le altrettanto belle fotografie (tutte a colori) sono di Marco
Negrini.
Già
l'anno scorso pensai di relazionare su questo elegante volumetto di
120 pagine, però la nostra programmazione avrebbe consentito la sua
postazione in autunno, stagione meno adatta a stimolare verifiche
puntuali sul territorio. Di conseguenza ho rimandato il progetto a
quest'anno. Dato che il malefico virus Covid 19 ci ha segregati per
mesi in casa senza sapere la plausibile data del poter uscire
all'aperto e, soprattutto, di potersi spostare almeno in Toscana e
quindi in Italia, riprendo la preparazione del post appena se n'è
presentata l'opportunità.
E'
accaduto, infatti, che da l'altro ieri 4 giugno la segregazione
domestica è se non cessata, sospesa (con una clausola di ripristino
se i connazionali si comporteranno da deficienti non rispettando
tutte le norme
prudenziali ancora in vigore). Con ciò il turismo culturale può
essere esercitato nuovamente. Ne consegue che le località come San
Galgano e territori limitrofi potranno riavere la consueta presenza
di turisti e di acquirenti delle documentazioni illustranti le
bellezze (in questo caso veramente eccezionali) del territorio
visitato.
A
questo punto si impone una dispiaciuta ma necessaria precisazione
circa la ristampa del testo di Carlo L. Ragghianti. Per ormai antico
scrupolo professionale, prima di procedere alla riproposta del testo,
ho voluto riscontrare la stesura del 1985 con quella del 2019. Ho
così verificato che sono stati apportati alcuni tagli al testo,
diverse modifiche piuttosto ingiustificate degli a capo, alcuni
refusi e qualche ipercorrezione erronea.
Evidentemente
il virus “pinnesco” (alludo a un tale, che l'Alfredo Righi ebbe
l'improntitudine di magnificare, con la sua non insolita
superficialità, definendolo “principe dei redattori”, il quale
imperversava in Vallecchi negli anni '60-'70 non potendosi trattenere
dall'intervenire a capocchia su qualunque testo gli capitasse
sottomano) esiste tuttora e ha voluto colpire questa innocua
testimonianza evocativa di una antica realtà paesistica ed
architettonica preservata e con caratteristiche tali da renderla
particolarmente preziosa all'interno dell'immenso patrimonio
artistico toscano ed italiano.
Tutto
sommato, quindi, per acribia in questo post riproduco il
testo del 1985, controllato dall'autore, lasciando la traduzione
in inglese (apposita per l'edizione 2019), sperando che non contenga
altre imperfezioni.
Riporto
ed elenco soltanto gli errori veri e propri del testo 2019:
- nella prima riga del testo è stata soppressa la parola “singolare” dopo “questo libro”;
- si è scritto “Rinascimento” con una maiuscola in luogo di “rinascimento” tra virgolette nel testo. Ipercorrezione dovuta all'ignoranza del fatto che C.L.R. non considerava gli -ismi e questo -mento fatti storici appurati, ma convenzioni spesso fuorvianti;
- “vele di San Giorgio di Lucca” invece di “vele del”;
- “a pietre e mattoni” invece di “pietre alternate a mattoni”;
- “la composizione delle masse plastiche” anziché “le composizioni”;
- “nelle variazioni flessioni” invece di “variazioni e”;
- “della chiesa Abbazia di Fossanova” invece di “chiese abbaziali”;
- lo studioso “ENLART” anziché “Enlart”;
- nell'ultima riga del testo: “Guidotti.” invece di “Guidotti crociato di pace e di ascesi spirituale della sua terra”. A ciò segue anche la mancanza di ulteriori tre righe di testo;
- sotto la fine del testo, dopo l'asterisco, C.L. Ragghianti viene definito “critico d'arte”. Veramente mio padre era uno storico dell'arte, e poi critico d'arte.
Tornando
a San Galgano e alla valle del Merse, nella Presentazione a
questo libro C.L.R. pur accennando alle varie volte che percorse
questo territorio, reso così speciale dal santo Galgano Guidotti,
non ricorda specificatamente la sua presenza nel 1960. Ciò avvenne
in due distinti momenti dell'anno. Nel giugno R. accompagnato
dall'allora caro scolaro e assistente Giacinto Nudi – che gli fece
da automedonte – in un lungo percorso durato alcuni giorni visitò
tutti i territori che qualche mese dopo furono oggeto delle riprese
aeree per il critofilm Terre alte di Toscana.
Giacinto
Nudi, era anche amico di noi familiari, specialmente mio che nei suoi
confronti mi sentivo come un fratello minore. A lui, infatti,
ricorrevo per qualche problema esistenziale dei vent'anni o pratico e
una volta persino pecuniario (l'unico prestito della mia esistenza).
Era proprio una bella squadra quella che spesso facevamo assieme al
suo “gemello” e sodale Lele Monti, faro di cultura, di astratta
humanitas, però inaffidabile a fronte della realtà della
vita. Poi nel 1968 Giacinto fu folgorato da un virus rivoluzionario.
Non solo si estraniò da C.L.R., e quindi anche dagli altri
Ragghianti, ma lo tradì con un voltafaccia inspiegabile
razionalmente, perché motivato da una sorta di palingenesi
fideistica di una rivoluzione totale (ben al di là della abusata
“uccisione” del padre da sacrificare alla propria realizzazione),
per la quale anche un galantuomo come mio padre diveniva un nemico da
abbattere. Amen.
Comunque
Giacinto compos sui in quella escursione architettonica e
paesistica tenne un diario visivo fotografando i monumenti e i
paesaggi più rappresentativi che allora 1960 – se ne tenga conto –
non tutti di facile accesso. Sua è la fotografia in b/n della
Rotonda di Montesiepi qui sotto illustrata.
Altra
divagazione opportuna. Il fatto di essere oltre otto miliardi di
esseri umani evidentemente può rendere le concomitanze, le
coincidenze più frequenti. Per esempio, qualche giorno fa, durante
una verifica serale per campioni nei “social” informativi, mi
imbatto nella notizia d'agenzia che il divulgatore e cultore
artistico Philippe Daverio (che scopro avere dieci anni meno di me),
in qualità di lombardo sopravvissuto al virus pandemico, invitava i
concittadini tutti a darsi al turismo nazionale come alternativa agli
stranieri assenti. Il fatto curioso è che tra le poche località
citate come preminenti ha nominato anche San Galgano. Benissimo.
Tengo a precisare, però, che questa postazione era già stata
programmata per gli inizi del mese di luglio.
In
conclusione mi auguro che questo nostro post contribuisca a suscitare
oltre all'arricchimento culturale di una gita “mitica”, anche un
frammento di ripresa economica legata al turismo, essenziale per la
sopravvivenza dell'economia nazionale ed europea.
F.R.
(6 giugno 2020)
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