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2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28 settembre 2018
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
Nato nel 1916 a Zurigo (dove il padre Raffaele, pittore, risiedeva dal 1897) Raffaellino – così chiamato per distinguerlo dal genitore – o Raffaele jr. divenne precocemente critico d'arte (1935) e quindi dal 1938 milanese, dove fu risoluto attivista politico (tanto da essere arrestato più volte e scontare 15 mesi di reclusione) e operoso nel gruppo di intellettuali vicini al gruppo di artisti e alla rivista “Corrente”. L'importante nucleo fu uno dei pochi centri ostili al regime fascista. Divenuto comunista fu redattore de “L'Unità” clandestina (1944), quindi partigiano combattente in Lombardia e in Toscana.
Se
non incontrò prima della guerra Ragghianti (agitatore e
organizzatore clandestino, amico e compagno di molti degli esponenti
di “Corrente”), De Grada quale esponente del Fronte della
Gioventù lo conosceva certamente durante la Liberazione di Firenze.
Lo dimostra il suo biglietto autografo indirizzato a R. presidente
del C.T.L.N., che riproduco:
Su
questo documento Ragghianti firma la scritta “non ne sa nulla?”,
domanda rivolta a qualche collaboratore per appurare perché De Grada
ignorasse la ragione dell'assegnazione del “villino” (sequestrato
a qualche noto repubblichino rifugiatosi al Nord). Probabilmente
l'edificio era stato assegnato a un ufficio del cooperante comando
britannico. Comunque è certo che in quelle caotiche ed eroiche
circostanze si potessero verificare disguidi.
Il
5 luglio 1945 De Grada rivolge la lettera (che qui viene riprodotta
in allegato) a C.L.R., sottosegretario di Stato alle BB.AA., circa la
situazione della Biennale di Venezia. Si notino in calce i saluti di
Afro Basaldella, giovane pittore già noto e inserito negli
ingranaggi della politica culturale. Riporto anche la risposta di
Ragghianti, uno dei primi documenti attestanti il suo continuativo
interesse per l'autonomia dell'Ente, sistematicamente invece
strutturato al servizio di parte dalla DC ai democratici attuali, per
tacere dei berluscheri e dei craxisti. Si veda, quindi, il documento
del 29 settembre 1960 che R. invia al neodeputato De Grada in
relazione alla situazione della Biennale.
Buoni
i rapporti tra R. e De Grada, perduranti fino al catastrofico 1948
(salvo la parentesi unilaterale derivante da un curioso accadimento
che implicava la affranta famiglia di Luigi Russo, italianista
illustre, probabilmente in seguito risolto dall' “utilidiotismo”
del tonante Luigione – per la stazza; non a caso chiamato
“Gigione” – , secondo solo a Bruno Zevi nell'affermarsi con
voce stentorea (vedasi lettera di R. a Fernanda Wittgens del 24
aprile 1946, nell'Archivio di Lucca, che non riproduco dati i fatti
familiari contenuti).
De
Grada divenne persino funzionario del PCI e nel 1958 deputato. Nel
campo della critica d'arte militante e del potere egemonico del
partito Comunista nel campo artistico, egli si affermò tra i massimi
“cacicchi” nazionali insieme a Mario De Micheli e ad Antonello
Trombadori. Freddi i rapporti con C.L.R. fino al 1960, quando il PCI
ebbe bisogno della legittimazione, in funzione antitambroniana e
fasciodemocristiana, degli uomini e della cultura democratica e
socialista (non socialdemocratica, per carità: il PSDI – salvo
Saragat, e pochi altri dirigenti di vertice – era militato e
votato da opportunisti e monarcoidi, nel migliore dei casi). Nel 1953, durante le vacanze di Pasqua vicino a Vittorio Apuana nella casa-pensione del colonnello Gallian (anziano ufficiale il cui momento di gloria fu organizzare a
Reggio Calabria un importante ballo in onore dei militari intervenuti lì ed a Messina in seguito
al devastante terremoto del 1908), quindi prima delle elezioni della
Legge Truffa, passeggiando nel viale interno tra il Forte dei Marmi e
Vittoria, incontrammo nel buio delle ore 19 De Grada con la consorte
di allora. Lo conobbi così, durante un breve imbarazzato scambio di
saluti e banalità; il critico milanese mi parve molto a disagio,
mentre il babbo e la mamma erano serafici, forse un po' rattristati.
Il
30 dicembre 1966, De Grada inviò personalmente a C.L.R., “a puro
titolo simbolico di augurio”, ” £ 10.000 per il Comitato per
l'Alluvione di Firenze, ideato da C.L. Ragghianti una cinquantina di
giorni prima.
In
primavera De Grada era stato incaricato di scrivere le schede degli
artisti qui di seguito illustrati ed anche a fare parte del Comitato
(in quanto rappresentante “ufficiale del PCI, presumo), risultando
meno assertivo ed ingombrante dei suoi colleghi di partito in
analoghe circostanze.
Nel
1972 presenta alla Galleria La Loggetta Leonardesca dell'Accademia di
Ravenna (di cui De Grada era Direttore) il Gibbo di Tono
Zancanaro nell'edizione sesquipedale realizzata da Paolo Mazzotti con
testo critico di C.L.R. e catalogo a c. di Francesco Ragghianti.
Seguì pantagruelica abuffata con Tono in ciampanelle, mio padre
stanco ed io preoccupato per la guida del ritorno in auto a Firenze a
notte alta (però sobrio, con rammarico però). Nel 1975 in occasione
di un fantomatico (credo) convegno caravaggesco De Grada riceve un
biglietto di Carlo L. Ragghianti (scritto dopo una prima versione
cancellata con una ics in rosso, anch'essa riprodotta in allegato)
che lo informa del proprio studio su Caravaggio in fieri. Il 3
ottobre 1980 C.L.R. chiede a De Grada la documentazione della sua
attività parlamentare riguardante i rapporti tra Galleria Nazionale
d'Arte moderna di Roma e Galleria Malborough della stessa città.
Questa richiesta si riferisce alla linea di difesa di Ragghianti
querelato da Argan. Dell'ampia documentazione allestita all'uopo fa
parte anche un voluminoso fascicolo redatto con la collaborazione di
Simone Viani, che intendo postare su questo blog.
Raffaellino
De Grada l' 8 aprile 1981 comunica a R: “a te e a Licia tutto il
mio affetto, la mia solidarietà , la mia vecchia ammirazione per la
tua opera che continua”. A queste affettuose parole mio padre
risponde con la seguente missiva del 12 aprile 1981:
Sincero anche il telegramma con cui il critico milanese partecipa al lutto di Licia Collobi e dei suoi figli: “Esprimo a te e ai tuoi figli mio grande dolore per scomparsa caro amico et maestro compagno di lotta indimenticabile Carlo Ludovico”.
Come
già accennato in precedenza, De Grada è stato uno degli interpreti
orientatori più ortodossi della linea del PCI, con un atteggiamento
e comportamento di stampo “leninista”, analogo a quello
riscontrato in molti altri artisti e critici (salvo l'anarcoide Tono
Zancanaro, comunque consenziente beneficiario dei vantaggi relativi
al “culto” della personalità): vale a dire vivere serenamente e
coscientemente i privilegi perché – leninisticamente, appunto –
dovuti a chi orientava ed educava le masse.
L'attività di De Grada nel PCI cessò intorno alla metà degli anni Settanta perché – con coerenza ideologica che gli fa onore – non condividendo il “compromesso storico” continuò in Democrazia Proletaria una militanza fortemente connotata ed impegnata. Questa crisi fu dovuta anche alla delusione, al fastidio ed al ripudio di prassi e costumi “sessantottini”, come egli ricorda in una intervista a “Arte” (aprile 1987):
Circa
i critici, inoltre, dichiara verità piuttosto pesanti,
considerando la consueta inossidabile “massoneria degli addetti ai lavori:
Tutto
sommato di Raffaellino De Grada si può affermare che è stato un
intellettuale vittima, come troppi (tanti comunque da rendere
impossibile una rivoluzione laica e socialista in Italia) traditi dal
conservatorismo clericale del PCI, verificatosi – non a caso –
quando la situazione internazionale ha infranto lo specchio truccato
del leninismo-stalinismo. A differenza di molti però la penna di
De Grada critico è stata più coerente alla
cultura che alla propaganda. Inoltre dopo il fallimento dell'URSS non
ha partecipato all'osceno “liberi tutti”, che ha mostrato
un'infinità di casi di squallido opportunismo nel mondo di quella
parte politica che si faceva chiamare sinistra.
F.R.
(15 maggio 2020)
Di
Giovanni Boldini colpisce l'eccezionale talento, nonché il
superlativo ductus pittorico, il quale discende sì da illustri
predecessori, però si manifesta così connaturato e spontaneo da
renderlo straordinariamente
– quando non in anticipo sui tempi
– almeno consentaneo in maniera originale ai
contemporanei più estrosi quali i futuristi.
Artista
pienamente ottocentesco (nato nel 1842), Boldini è indubbiamente
anche valido interprete dei primi decenni del Novecento.
A
questo proposito debbo rilevare di non essere riuscito nella mia
fototeca a trovare illustrazioni a colori degli anni dal 1915 e
seguenti degne di riproduzione. Di conseguenza
– e ne chiedo scusa
– non è qui illustrato degnamente proprio il periodo
cruciale. Considerando, inoltre, il fatto che la sezione di artisti
affidati alla presentazione di Raffaellino De Grada è tale da
risultare complessivamente piuttosto sovraesposta rispetto ad altre,
ho deciso di estrapolare da questo contesto gli scritti di Carlo L.
Ragghianti riguardanti Giovanni Boldini. Essi saranno
oggetto di un apposito post. Non
riproducendo il saggio di C.L. Ragghianti, dall'edizione Rizzoli dei
“Classici dell'Arte”, riprendo l' Itinerario di una avventura
critica curato a suo tempo
(1970) da Ettore Camesasca, cui sono ancora grato per avermi offerto
di andare a lavorare a Milano. Oggi ribadisco che oltre ai motivi
detti nell' Appendice 1969 del
post del 18 gennaio 2019 (su Grünewald)
mi preservarono anche gli esiti desolanti di amici e conoscenti che
avevano tentato la “grande” avventura.
Non
ho resistito a non riprendere l'intervista (1925) che a Boldini fece
Filippo De Pisis, rivelandomi di essere scrittore oltre che poeta,
come saputo e storicizzato. Ignoro infine se Boldini – buon amico
di Degas – avesse avuto rapporti con Henri Toulouse-Lautrec.
Vedendo l'ill. n. 1 (La
serviette)
comunque direi che entrambi non erano restii a valorizzare anche gli
aspetti reconditi dell'intimità femminile.
F.R.
(18 maggio 2020)
Come
scrive Ornella Casazza (1993), dopo aver ricordato l'ammirazione nei
confrnti di Libero Andreotti nella Firenze fine anni Venti inizio
anni Trenta da parte di Eugenio Montale (“Di tutti era il migliore,
in ogni senso”), facendo ella notare che si deve alla “grinta
recuperatrice” di Raffaele Monti la ripresa di attenzione critica
positiva dei “momenti più significativi della sua opera e della
sua portata storica che gli concessero senza ombra di dubbio il ruolo
di protagonista nella vicenda storica del primo Novecento”.
Ne
consegue – direi – che non c'è modo migliore di occuparsi ancor
oggi di Libero Andreotti che riferirsi agli studi di Monti. Nella
nostra fattispecie riportando quindi a seguire il saggio che Lele
pubblicò nel Catalogo della Mostra (1993) nel castello di Mesola,
dove si possono riscontrare anche gli altri contributi di questo
autore elencati nella diffusa Bibliografia che conclude il
volume. La pubblicazione contiene inoltre uno scritto di Vittorio
Sgarbi e il citato breve saggio di Ornella Casazza L'inarrestabile
riemergere di uno dei pionieri dell'arte moderna,
nonché una ampia sezione di sculture riprodotte ottimamente in
bianco/nero. Rilevo soltanto (non per acribia ma perché ne ho un
fresco ricordo) che nella diffusa bibliografia nell'anno 1940 manca
il libro Vita
d'artista, affettuosa
biografia dedicata all'amico scultore da Enrico Sacchetti.
Anche
in vita la fortuna critica di Andreotti (che personalmente scopersi
soltanto durante la Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, giacché
in precedenza quel cognome mi indisponeva per pregiudizio politico) è
stata altalenante tanto da far scrivere in “Toscana qui” (n.3,
1993, p. 60) a Gianni Pozzi:
Oltre
a sottolineare l'andamento ondulatorio della sua celebrità, di
Andreotti occorre ricordare le tristi vicissitudini dei suoi gessi
che finalmente approdarono e furono esposti nell'affollata ma
conturbante Gipsoteca dedicatagli dalla città natale: Pescia.
Il
contributo di Carlo L. Ragghianti – che vedo sempre citato in
positivo –sull'opera di Andreotti è stato prevalentemente
socratico (cioè orale, e durante lezioni, seminari ecc.), per il
resto è stato erratico, nel senso che l'operato dell'artista è
citato nei suoi scritti circoscritto a richiamo e al massimo espresso
in poche righe, come – ad es. – nel 1939 nel saggio La
III quadriennale d'arte italiana (“La
Critica d'Arte”, IV, 1, XIX, gen.-mar., p. 4)
dove
lo studioso scrive: “Quanto all'Andreotti, per esempio, queste
forme di stilismo egualitario e corsivo furono una presenza quasi
perenne nella sua scultura”.
Forse
non guasta riportare i seguenti due stralci dalla autopresentazione
dell'artista al volumetto Libero Andreotti,
Hoepli, Milano 1926, a dimostrazione della sua sensibilità personale
e della responsabilità culturale che provava.
Va
ricordato, infine, che Libero Andreotti fu Maestro assiduo e presente
ed ebbe allievi molto dotati quali Bruno Innocenti e Antonio Berti,
nonché altri come Delio Granchi e Giannetto Mannucci.
F.R.
(20 maggio 2020)
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