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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
Giornalista
professionista e critico d'arte, Silvio Branzi (1899-1976) ha
collaborato fin dal 1947 con lo Studio Italiano di Storia dell'Arte,
fondato da Ragghianti, che fu in un primo tempo la nuova
denominazione dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, fondato
fascisticamente da Papini. In seguito all'intervento di Gonella,
ministro della P. Istruzione, gli Enti furono di nuovo divisi e
contrapposti. Entrambi, però, erano situati al secondo piano di
Palazzo Strozzi: con affaccio su via Tornabuoni Ragghianti, su piazza
Strozzi il Salmi e compagnia non bella.
Silvio
Branzi nel 1948 partecipò al 1° Convegno dei critici d'arte (si
vedano i post degli Atti dal
primo del 23 luglio 2018 al dodicesimo del 22 luglio 2019), ma il suo
contributo non fu pubblicato perché consegnato a stampa del libro
in corso, come rammaricato suppose lo stesso Branzi in una lettera a
R. del 23 settembre 1948. Nonostante fosse più anziano di undici
anni, il critico trentino riconosce in C.L.R. “una guida per il mio
lavoro futuro” (lettera del 27 ottobre 1948). Nel 1956/57 sostenne
sul quotidiano di Venezia, il “Gazzettino” (soprattutto il 12
dicembre 1956) e su “La Fiera Letteraria” (Conservare
bene le opere d'arte, 20 gennaio
1957) la campagna, o come egli scrive il “rapporto” condotto da
C.L.R. circa le voci di bilancio del Ministero Pubblica Istruzione
riguardanti la conservazione, la tutela, la valorizzazione e
l'amministrazione del patrimonio artistico nazionale, iniziata su
“Comunità” (n. 44) e sostenuta su “seleArte”. Nel
1958 R. scrisse a S.B. (13 marzo) una lettera in cui lo ringraziava
per aver recensito con un “raramente preciso riassunto” il suo
saggio su Antonio Canova nel fascicolo speciale di “Critica d'Arte”
(n. 22, lug-ago.1957, pp. 107). Ragghianti quindi gli rivolge alcune
obiezioni e osservazioni che riprodurremo in occasione della prevista
ripubblicazione dell'importante studio di R. in questo blog.
Anche
se purtroppo disperse nelle vicissitudini degli uffici di Ragghianti,
Branzi recensì puntualmente le iniziative, i libri e gli studi di
C.L.R. durante tutto l'arco della sua attività giornalistica.
Naturaliter Branzi nel 1966 fu coinvolto nella realizzazione della
Mostra di Arte Moderna 1915-1935 con l'assegnazione di sette schede
critiche di artisti triveneti e quella del “futurista” Korompay,
docente all'Accademia di Bologna. Nel 1967, Branzi è tra gli
aderenti (biglietto del 6 maggio 1967 a Luporini) alla riprovazione e
alla denunzia di condanna del proditorio attacco del Previtali alla personale onestà e correttezza di C.L. Ragghianti nelle vicende collegate all'Alluvione di Firenze (4 novembre 1966). Pochi giorni dopo, Branzi subì a Bologna un intervento chirurgico piuttosto importante, tale da conseguire un suo minore impegno lavorativo e di partecipazione alle vicende del “mondo” artistico.
Alla notizia della morte del critico e storico trentino, Carlo L. Ragghianti lo volle ricordare pubblicamente pubblicando su “Critica d'Arte” (n. 151-153, seleArte IV serie n. 19, gen-giu. 1977, pp. 219-220) col titolo Ribelli di Ca' Pesaro la recensione all'omonimo ultimo libro edito da Branzi. Concludiamo questa scheda con la postazione dello scritto di C.L.R., che – oltretutto – si riferisce in termini generali anche a quanto documentato in particolare in questo post.
F.R. (4 novembre 2019)
Luigi
A. Scopinich è artista spesso citato, ma poco illustrato. Peraltro
sarei portato a dire “ingiustamente” poco riprodotto, se mi posso
affidare alle rare immagini disponibili dei suoi dipinti. E',
comunque, una fortuna che la scheda critica di Silvio Branzi sia
abbastanza esauriente. Oltretutto di questo pittore si sa ben poco di
sicuro: le date di nascita e di morte, ad es., talvolta sono
1885-1959 (come qui nella scheda), talaltra 1886-1957. Non potendo
dedicare a questo epigono tempo e denaro (i libri di antiquariato in
special modo, costano), mi arrendo di fronte a questa situazione.
F.R.
(5 novembre 2019)
Artista
nato a Innsbruck da genitori italiofoni, tornato a Rovereto (ancora
sotto l'Austria Ungheria) a dieci anni, nel 1908 va comunque a
studiare a Venezia. La sua formazione è totalmente riferita alla
cultura figurativa nazionale, tanto da aderire nel 1916 al Futurismo
promosso da Marinetti.
Tra il 1920 e il 1940 viaggia e soggiorna all'estero, dove
riscuote un notevole successo professionale spostando il proprio stile prima verso un'accentuazione astratta, quindi aderendo alla pittura “tradizionale” del cosiddetto “ritorno all'ordine”, nella quale non si mostra dotato di originalità, come si riscontra nell'ultimo suo dipinto qui illustrato.
F.R. (5 novembre 2019)
Pittore
dalla tavolozza spessa, talvolta greve – per non dire eccessiva –
Marco Novati (1895-1975) è stato un pittore di rara coerenza
stilistica. Di lui mi risulta un unico contatto diretto con Carlo L.
Ragghianti, avvenuto nel 1954. Nel fascicolo n. 12 di “seleArte”
dedicato per tre quarti alla Biennale di Venezia di quell'anno, a p.
8, colonna a sin., C.L.R. scrive:”Questo carattere che un solo
avverbio definisce, squisitamente, deriva dallo spiegamento –
che in una mostra internazionale non ha, per vero, giustificazione –
di un certo numero di espositori, la cui presenza, almeno in parte,
era un tempo obbligata e inevitabile, ma che la critica e il gusto
avvertito avevano già da trentanni giudicato. I nomi bastano a
creare un'atmosfera quasi di revenants: Gisberto
Ceracchini, Romagnoli, Italo Ceribelli, Attilio Torresini, Mario
Tozzi, Ferruccio Ferrazzi (questi ultimi affrontati a De Pisis!),
Franco Girelli, Felice Carena, Marco Novati, Neno Mori, Luigi
Aversano, Renato Brozzi, Publio Mocabiducci, Giuseppe Romagnati....
con alcune retrospettive l'illusione è quasi completa.
Si
tocca talvolta il limite del professionismo insignificante ed anche
volgare”. (Parenteticamente sono io il primo a ricordare che C.L.R.
di alcuni di questi artisti – Ferrazzi, Tozzi segnatamente – fu
portato dagli studi, dalle ricerche, dagli approfondimenti effettuati
nel corso della preparazione di questa mostra a mutare o a correggere
il proprio parere).
Novati,
letta la rivista, il 24 settembre 1954 scrisse al critico una
cartolina - illustrata sul verso da un suo dipinto – nella quale
così reagisce alla “stroncatura”: Se lei sapesse il dispiacere
che ò (ho: N. è un seguace dell'andazzo praticato da molti
scrittori, Cicognani in testa, per innovare fascisticamente la
lingua) provato a leggere su seleArte n. 12, p. 8 un giudizio sulla
XXVII Biennale e sul mio conto che mi calcola un revenant.Se
dispiacere è stato grosso e triste, in quanto ò tanta simpatia per
questo periodico veramente signorile, e che arricchisce la mia
biblioteca, vorrei tanto che lei conoscesse la mia opera anche di
20-30 anni fa. Cord.nte Marco Novati”. Legittima reazione sul
piano umano, su quello critico – però – non merita certo di
ricevere soddisfazione. Ciò per colpa della “coerenza”, di cui
si è accennato all'inizio, del suo pesante stile.
F.R.
(5 novembre 2019)
Unanimemente
indicato dalla critica come artista colto e raffinato, Nino Springolo
(1886-1975) è stato protagonista della pittura italiana, certo non
soltanto del cenacolo trevigiano tra le due guerre, come talvolta
indicato.
La
panoramica di sue opere che mostriamo inizia con il sorprendente,
strepitoso quadro Bagnanti,
dipinto a 26 anni. La scheda di Silvio Branzi e quella della
successiva Mostra/Catalogo (1992) “Arte in Italia 1935-1955”,
firmata da Danilo Marangon, delineano in maniera esauriente il
percorso di Nino Springolo, coerente, elegante, “colto e raffinato”
appunto.
Guido
Perocco, critico serio e attivissimo promotore dei maestri veneti in
particolare, non a caso avvicina per carattere Springolo a Morandi,
accomunandoli nel loro operare intenso, modulato su alcuni propri
archetipi mentali, comunque contenuti nel proprio ambito poetico,
teso ad una universalità non impositiva.
F.R.
(5 novembre 2019)
Juti
Ravenna ha avuto parte iniziale del suo percorso abbastanza
aderente al cliché della vita di Bohéme, con tante
ristrettezze, fame e freddo. E' comunque riuscito a trovare un ubi
consistam decoroso mentre
diveniva via via personaggio centrale, nel periodo delle due guerre
mondiali, dell'ambiente artistico veneto.
Il
suo peso intellettuale derivò anche dall'essere scrittore d'arte –
in particolare difensore della memoria del pittore Gino Rossi
evocandone il ricordo con costante promozione – nonché dall'essere
grafico di pubblicazioni. In questo ambito nel 1943 con Egidio
Bonfante (pittore e poi illustre graphic designer anche
della Olivetti) produsse una rinomata pubblicazione su Picasso. Fu
seguace ed amico di Filippo De Pisis, restandone stilisticamente
indipendente.
Del
suo valore pittorico non conosco un'opinione precisa di C.L.R. ,
ricordo che Monti ne era molto impressionato.
Trovo
soltanto su di lui un vecchio appunto con una citazione da C.L.R.,
però decontestualizzata, che riporto provvisoriamente in attesa di
fornire dati più precisi ed ulteriori: “da segnalare perché meno
note, due gruppi di opere dei pittori, Ravenna... il primo labile e
squisito da ricordare Dufy...” La scheda della Mostra/Catalogo
(1992) “Arte in Italia 1935-1955” è di Daniele Marangon,
succeduto a Giuseppe Mazzariol (morto nel 1989) nel Comitato
scientifico dell'iniziativa dell'Università Internazionale dell'Arte
di Firenze.
F.R.
(6 novembre 2019)
Giovanni
Korompay (1904-1988) è stato un pittore di ultima generazione
futurista, come tale apprezzato per la sua costanza stilistica in una
vita, come scrisse Silvio Branzi nella presentazione di una Mostra
presso la Galleria l'Argentario di Trento, in cui:
D'altra
parte personalmente ritengo che Korompay non poteva comportarsi
pittoricamente in modo differente. Possono dimostrare questa
osservazione le due pitture del 1935 e 1936-38, qui riprodotte
all'inizio della consueta “vetrina” che dedichiamo a ciascun
artista del quale riusciamo ad allestire una panoramica indicativa.
Ritratto e Ballerina
meccanica risultano infatti gli
unici due dipinti che mi è stato dato di osservare tra tutte le
moltissime immagini rigorosamente geometriche dell'artista, in cui
compare la figura umana. In Ballerina
il manichino
danzante si giustifica quale un inserto di evocazione musicale contemporanea, in un'appropriata scenografia che non avrebbe offeso quegli artisti russi degli anni Venti, poi “massacrati” da Stalin. In Ritratto la figura femminile si impone come surrogato del peggior surrealismo, un Dalì d'accatto;un Magritte in ferie mentali, dei peggiori, cioè; un Balla “figurale” dipinto pensando al suicidio. Forse sarebbe stato considerato passabile soggetto per una copertina per settimanali femminili Rizzoli dell'epoca. Di conseguenza, direi, la coerenza non figurale è stata per Korompay una necessità improrogabile, inevitabile: comunque un atto d'intelligenza.
C.L.
Ragghianti conobbe personalmente Korompay in occasione di una sua
accessione a Bologna, dove Gian Carlo Cavalli – suo vecchio amico,
seguace e partigiano – ne fu il tramite. Questo incontro fu
proficuo e R. ebbe una impressione positiva e nella lunga
conversazione con Korompay fu soprattutto interessato alle
descrizioni e alla attività culturale di quel mondo tardo futurista,
che egli aveva dovuto evitare all'epoca perché essendo lui
antifascista, quindi pericoloso per la propria incolumità. Tant'è
che a tamburo battente, come spesso gli accadeva, propose a Cavalli
con lettera del 5 marzo 1964 di organizzare una Mostra e un Catalogo
per La Strozzina di Firenze. Naturalmente
la curiosità e l'interessamento di Ragghianti lusingarono il
pittore, il quale sempre il 5 marzo 1964 gli scrisse:
Però
se in R. ci fu in un primo tempo una certa ammirazione, le
vicissitudini de La Strozzina, già impegnata in importanti e costose
esposizioni, il nicchiare di Cavalli circa il Catalogo ed altri
impegni dell'Istituto di Pisa realisticamente comportarono la
dilazione del progetto. Nel frattempo Korompay rivelò una natura
querula, assillante vuoi per telefono (il nostro Cini lo detestava)
vuoi con la presenza pretestuosa che in ogni occasione piativa
attenzione, protezione, richiesta di sostegno in Premi di pittura
ecc. Tutti comportamenti estranei e fastidiosi per Ragghianti,
il quale cominciò a evitare K. Come la peste o il malocchio. Per
quel che mi riguarda l'apice del rompiscatolismo del pittore avvenne
a La Spezia dove mi fece passare un pomeriggio infernale durante il
Vernissage delle opere in concorso per il Premio del Golfo. Il
poveraccio voleva sapere ad ogni costo cosa avesse deliberato la
Giuria di cui, se ben ricordo, C.L.R. era il presidente. Soprattutto
se era lui il vincitore. Sapevo che non lo era e che R. aveva
sostenuto (non ricordo se vinse o no) Farulli, il quale aveva esposto
una serie di quadri bellissimi con nuova tematica. Riuscii a non dire
niente, manco fossi un deficente. Per fortuna era presente anche un
giornalista critico, star (narrante) con codazzo ossequioso cui –
per mia, finalmente, fortuna e sollievo – si accodò Korompay. Dal Catalogo momografico dedicato dal Comune di Bologna nel 1979 per l'esposizione “Korompay” vedo che C.L. Ragghianti nella cronologia dell'artista – firmata da Marilena Pasquali – è nominato soltanto una volta – nel 1964 – con la marginale annotazione: “(alla) Galleria grafica contemporanea, presentata da Carlo L. Ragghianti, Korompay partecipa con Luci d'officina, un'acquaforte del 1964”. Stando così le cose si
evince che C.L.R. non ha scritto né promosso niente del Korompay. Se effettivamente questa è la situazione, per mio padre questo è un
record personale: l'aver resistito cioè alle insistenze lamentose,
all'assillo asfissiante di un artista bramoso di avere anche la sua
firma nella propria collezione di critici e presentatori. Purtroppo
altri scocciatori ci sono riusciti, però – per quanto antipatici e
rompicoglioni – quasi tutti avevano qualità espressive,
originalità o vicende particolarmente importanti e significative.
Anche
il coinvolgimento di C.L.R. nel mezzo infortunio della testa
livornese di Modigliani ( mezzo perché R. lo dimostrò tale, come si
può vedere dalla bibliografia e come mi riservo di postare in
futuro) fu dovuto per buona parte alla adesione alle tesi (in verità
più che forzate gonfiate e involontariamente distorte dei fratelli
Durbé) sostenute con avvilita insistenza e patimento per
l'aggressione mediatica. Ragghianti come Lancillotto? Un po' sì, era
nel suo carattere. Aveva una passionalità (non “sentimentalità”,
quella è superficiale e si riferisce anche a tipetti come Hitler)
talvolta irruente, anche se quasi sempre controllata anche dal
tirocinio politico che lo aveva forgiato a gestire le passioni,
le irrazionalità e determinate pulsioni. In casi come quello di
Korompay bastava sollevare il ponte levatoio, in quello (corna!) di
Modigliani la clava del fato colpendo a casaccio non risparmia le
situazioni circostanti differenti, anche quella di R. che ipotizzava
(fuorviato da rapporti scientifici autorevoli ma errati o peggio)
come probabile o possibile una coincidenza – anche formale –
deducibile dagli antefatti noti dell'artista.
F.R.
(7 novembre 2019)
Di
Gigiotti Zanini, definito talvolta “l'architetto che è nato
pittore”, ci si è spesso limitati ad apprezzare soprattutto
aspetti esteriori, per altro gradevoli, come li descrive Polignoto
(Leonardo Borgese, pittore discreto oltre che critico-cronista
d'arte) nel trafiletto – l'Europeo, 28 marzo 1948 – riprodotto
dopo questa nota ed anche Maria Vittoria Majer cronista – corretta
ed informata – del settimanale “Famiglia Cristiana” (n.42, dic.
1992) la quale così bene descrive l'artista:
Nella
segreteria della Mostra 1915-1935 Zanini era molto ammirato,
soprattutto dall'espansivo Lele Monti. Ciò nonostante fu effettuata
una ricerca per individuare il nome proprio dell'artista, per
scoprire infine che Gigiotti non era un cognome. Peccato veniale non
infrequente come tipologia anche nelle redazioni editoriali.
Carlo
L. Ragghianti si è riferito a Zanini in due passi di Bologna
cruciale 1914 (fasc-
spec., n. 106-107 di “Critica d'Arte”, pp. 26-299, 1969) e nella
pagina 19 con tre illustrazioni (qui riprodotte). Nella prima
citazione si legge: “del seguace di Garbari, Gigiotti Zanini con
opere tra il 1918 e il 1920...che stanno tra le insegne di negozio,
secondo una pratica diffusa, e la ripresa di motivi e formalismi
tre-quattrocenteschi (che guadagneranno anche futuristi come De Pero
e Baldessari)”. Nella seconda indicazione di C.L.R. si legge:”nel
movimento Valori plastici raccolgono
intorno a sé...artisti spontanei autodidatti...di pura
vocazione...Naturalmente il panorama dovrebbe essere più esteso e
articolato, comprendendo anche altri impulsi originali, come per
esempio quello citato da Garbari, e poi di Gigiotti Zanini...”
Anche nel volume edito nello stesso anno Severo
Pozzati, Bologna 1913-1918,
il saggio di C.L. Ragghianti si sviluppa come premessa e
partecipazione a quanto poi approfondito nella “Critica d'Arte” e
Zanini è citato in forma più allusiva.
Quello
che sembra inoppugnabile è che il Gigiotti Zanini è un pittore
sicuro della sua tecnica e delle sue idee e aspirazioni formali. Un
artista senza ambiguità formali, dunque, convinto dell'uso della sua
composizione e della cromaticità della sua tavolozza.
F.R.
(7 novembre 2019)
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