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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
Anna Bovero
Anna
Bovero, storica dell'arte torinese di cui – come per tutte le
troppe donne vanitose – non è dato corrente trarre la data di
nascita e di morte (sempre che lo sia), constato che è scivolata nel
nulla mediatico. Non è grave danno, anzi. I volumi di immagini da
lei curati per UTET sono stati, oltre che deludenti, ovvii. Stante,
però, la difficoltà negli anni '60 e '70 di reperire iconografie
artistiche – specialmente di architettura e scultura – di qualità
e di dettaglio, sia pure in bianco e nero, Licia Collobi recensì i volumi della serie edita da UTET, se non vado errato, tre volte con indulgenza e qualche apprezzamento.
L'unica
attività – vedo – che la fa sopravvivere come notizia è che fu
la traduttrice italiana della Storia sociale dell'arte di
Arnold Hauser (“veleni” Einaudi, 1955). Questa opera dello
studioso di origine ungherese, divenuto britannico, fu considerata
nefasta da C.L.R. perché esemplare di una sorta di sociologia
residua del positivismo. Su “seleArte” (si veda il post del 18
dicembre 2019) Ragghianti stigmatizzò il libro non tanto a causa
delle scemenze, quanto per il dirompente danno irreversibile alla
comprensione dell'arte da parte dei suoi lettori. Oltretutto lo
Hauser non è stato nemmeno un ingegno deviato dall'opportunismo e
dal conformismo leninista come il conterraneo György Lukàcs.
Nello
stesso anno 1955 della pubblicazione della Storia dello
Hauser, Anna Bovero partecipò al II Seminario di Storia dell'Arte di
Pisae Viareggio ( 28 giugno - 8 luglio) organizzato da Ragghianti e
dal suo Istituto di Storia dell'Arte
dell'Università
di Pisa, con presenza di studiosi italiani e stranieri, su cui
primeggia il ricordo delle epiche bevute serali di punch al
rum di Otto Kurz. Attesta questa qualificata presenza di storici
dell'arte al Seminario lo scherzoso congedo (riprodotto in calce) di
cui ignoriamo il poetante.
La
partecipazione della Bovero in rappresentanza dell'Università di
Torino, si esplicò anche con l'invio per la pubblicazione negli Atti
di una relazione intitolata
Lettura di Friedlaënder. L'arte dell'attribuzione,
bocciata da Carlo L. Ragghianti con la laconica scritta: “Non
va/Atti”. Noto, per
inciso, che l' attribuzionismo risulta
una smania all'ombra di Superga: per “zio” Aldo Bertini era un
" violon d' Ingres”, quasi patetico anche perché non credo
fosse afflitto dal bisogno. Così la Bovero, affascinata ma non
dotata, così altre persone – di cui non ricordo i nominativi –
narratemi nella redazione di “Arte in Italia” ed. Casini, alla
Torre del Gallo di Firenze da Gian Lorenzo Mellini che fu per un
breve e burrascoso periodo docente a Torino.
La
presenza tra i critici autori delle schede della Mostra “Arte
moderna in Italia 1915-1935” della dr. Bovero non fu dovuta da
invito di C.L.R. ma dalla insistenza di Aldo Bertini e di altri
torinesi nel Comitato esecutivo, concordi in una solidarietà
localistica.
F.R. (25 ottobre 2019)
Non
essendo riuscito a individuare una documentazione soddisfacente di
opere di Jessie Boswell, non mi sento in grado di integrare utilmente
il testo redazionale della Mostra 1915 – 1935. Una cosa però mi
pare evidente: questa pittrice è sottostimata (non misconosciuta
perché ampiamente storicizzata tra i cosiddetti “Sei di Torino”)
dalla critica.
E
se è pur vero che dipinge aspetti di vita “più sereni – e
gradevolmente monotoni – di un'agiata vita borghese”, aspetto
per altro assai diffuso in pittura e nelle Arti decorative (il design
degli abbienti) dell'epoca, è anche verosimile intravedere opere
intense, non prive di inquietudine formale.
F.R.
(29 ottobre 2019)
Anche
Gigi Chessa è stato esaurientemente storicizzato insieme agli amici
dei “Sei di Torino”. Affidiamo una sua interpretazione
all'interno della
cultura
del suo tempo alla penna di Luigi Carluccio, attento conoscitore di
quegli avvenimenti artistici. In “Piemonte vivo” (n. 3, giugno
1981) egli scrive:

Di
Nicola Galante (1883–
1969) vanno osservati soprattutto il comportamento artigianale e la
mentalità fiabesca del suo operare pittorico. Egli è stato anche
xilografo e fine disegnatore. Infatti la critica mi pare tende a
privilegiare le sue xilografie, specialmente quelle giovanili,
le
quali effettivamente – date anche le piccole dimensioni –
appaiono come gioielli incastonati nel bianco.
Luigi
Carluccio, rinomato critico e divulgatore piemontese, certifica così
l'operato di Nicola Galante nella presentazione (1966) alla Galleria
“La Bussola” di Torino:
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