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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
Di
estrazione operaia ed artigianale, Publio Morbiducci (1899-1963) è
stato un personaggio piuttosto contraddittorio nella vita e
nell'arte. Dagli esordi fu scultore, però anche pittore di vero
talento con dipinti contigui per certi aspetti all'attività di Melli
ma con impronta originale e decisa. Praticamente di questa produzione
pittorica sorprendente è conosciuta e riprodotta quasi soltanto
quella del 1915, anno in cui M. fu arruolato per il fronte ma
riformato per motivi di salute. La precocità pittorica è uno dei
motivi che lo associano a Fortunato Bellonzi, pittore promettente ma
negatosi presto all'uso dei pennelli. Altro motivo che li associa è
un contorto percorso politico sfociato nel dare supporto esterno alla
Democrazia Cristiana, carente negli ambienti intellettuali ed
artistici.
Morbiducci,
iscritto nel 1915 al Partito Socialista, nel 1921 è vicino al
neonato P.C.I.; nel 1925 restituisce la tessera socialista perché
“il partito era poco serio”; nel 1929 espone alla Prima Sindacale
fascista del Lazio; nel 1932 realizza un busto di Mussolini; nel 1933
si iscrive al Partito Nazionale fascista (dove rimane fino al 25
luglio 1943). Rispunta nel 1946 riammesso all'Accademia di San Luca
(nella quale era stato associato nel 1937); nel 1950 partecipa alle
iniziative della Democrazia Cristiana; nel 1951 entra nel sindacato
Cisl-artisti e quindi diviene rappresentante nella Quadriennale di
Roma, di cui Bellonzi era Segretario generale.
La
sua “scheda” nel Catalogo della Mostra 1915-1935 è una delle
poche in cui la Redazione è intervenuta sia con una nota aggiuntiva,
sia con modifiche al contenuto espresso da Bellonzi, lasciando però
inalterato il testo che riguarda l'adesione alla bolsa retorica
scultorea fascista che “seppe assolvere con dignità, malgrado i
limiti opprimenti di una retorica d'obbligo”. Invece fu un
“pompiere” spesso riprovevolmente opaco, sordo espressivamente,
con disegni (ad es.) francamente di un accademismo deplorevole (salvo
certi fogli di nudi femminili in cui prevale il richiamo
dell'istinto).
Comunque
negli ambienti romani “tradizionalisti”, estranei ed ostili agli
artisti più o meno gravitanti intorno al P.C.I. (da Cagli e Guttuso,
Turcato, Mafai, ecc. ecc.), Morbiducci ebbe e mantenne (es. la “Voce
Repubblicana” del 19-20 novembre 1999) e forse tuttora mantiene una
considerazione professionale e di ammirazione perché lo scultore è
riuscito “a trovare … un suo modo di rinnovarsi e di continuare a
fare l'artista”.
La
monografia (l'unica che mi risulti), sempre del 1999, che gli dedica
l'Accademia di San Luca ricapitola l'attività di Morbiducci in
maniera abbastanza esauriente, con qualche contorcimento e qualche
omissione visiva. Giulio Ciucci, segretario generale dell'Accademia,
scrive “omaggio … della città di Roma ad uno dei suoi artisti,
un tempo assai noto e oggi dimenticato. Ragghianti aveva esposto nel
1967 alcune opere giovanili dell'artista, eseguite nel 1915 … ma in
secondo piano erano passate le sue sculture più tarde segnate da un
monumentalismo di cui veniva colto solo l'aspetto deteriore …”.
Pour cause, direi. E, sia chiaro, ciò avvenne non per
censura politica, giacché per Carlo L. Ragghianti (e per noi suoi
allievi e/o proseliti) un'opera se è espressiva e originale è arte;
d'altra parte se la sua forma è inespressiva e il contenuto è
ideologico, estraneo si è di fronte soltanto a tradimento,
negazione dell'arte, si ha oscenità visiva, quindi un oggetto
riprovevole, censurabile.
Comunque,
nella documentazione che segue mostreremo anche alcune nefandezze
scultoree di Morbiducci. Del quale, per sua disdetta si può asserire
tranquillamente che sia stato un artista declinante, che ha –
cioè – espresso il meglio di sé all'inizio dell'attività,
peggiorando progressivamente la qualità, praticamente senza riscatto
(e non fuorvino il giudizio gli ammiccamenti ad altri scultori nelle
sue opere tarde).
F.R.
(12 settembre 2019)
Bolognese
di nascita e quindi veneziano adottivo, l'artista Bruno Saetti
(1902-1984) è stato uno di quei rari pittori che è riuscito a
mantenere un livello estremamente elevato grazie all'inflessibile
rigore compositivo, inalterato nelle fasi fermamente distinte della
propria attività, estraniandosi sempre ai linguaggi delle cosiddette
avanguardie. La sua figurazione fino al 1935 si esprime soltanto
tramite la pittura ad olio con le tecniche tradizionali. Da quella
data Saetti è dedito continuativamente anche alla tecnica
dell'affresco, centrata in prevalenza sul tema del sole sovrastante
un muro, declinati in una varietà costante non monotona. Sotto
questo aspetto Saetti è collegabile al Maestro Giorgio Morandi, come sottolineò il Comune
di Bologna quando volle associare i suoi due comunque notevoli
artisti donando a Saetti lo spazio sepolcrale pubblico contiguo a
quello del grande Maestro di Via Fondazza. Anche Giulio Carlo Argan,
la cui attenzione critica è generalmente dedita ad altre forme
espressive, riconosce: “che il suo lavoro è stato e rimane un
esempio di onestà di intento e di impegno”. Pier Carlo Santini, in
un articolato saggio del 1972 in occasione di una mostra presso la
galleria Menghelli di Firenze, a proposito di muri di Saetti
specifica:
Artista
completo, Saetti ha praticato anche disegno ed incisione con sicuri
risultati paritetici a quelli pittorici, nonché si è cimentato con
la scultura e il mosaico, cui ha dedicato il gravoso impegno di
“decorare” la Cappella degli Angeli, ricavata da un annesso alla
propria abitazione di Montepiano di Prato. Tra l'altro, infatti,
Saetti è stato un artista dedito all'arte sacra, praticata
con spirito laico, derivante dalla propria profonda convinzione di
essere “un socialista cristiano”, che vive in coerenza con ideali
di generosità, tolleranza, operosità. La professione di fede di
Saetti non è ostentata né rivendicata, è probabilmente il motivo
reale dell'assegnazione della “scheda” critica a Fortunato
Bellonzi, anch'egli cristiano praticante ma non gregario.
Nella
Mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935, le “schede” sugli
artisti, come si può pragmaticamente rilevare erano di norma
assegnate ai critici sulla base di due criteri prevalenti: area
geografica di appartenenza e specialismo accertato, collegati ai loro
studi o ai loro interessi culturali. Come abbiamo puntualmente
notato, soprattutto nella sezione “schede redazionali”,
si sono presentati diversi casi di latitanza generale dei membri
della Commissione – dovuti a motivi vari – cui sopperì
Ragghianti con la
collaborazione di Raffaele Monti, Segretario generale della Mostra. Posso assicurare che furono escluse rigorosamente colleganze commerciali con e tra artisti e gallerie. Con
quest'ultime ci furono collaborazioni di prestiti o di aiuto nel
reperimento di singole opere d'arte. In pochissimi casi furono
operati di “imperio” tagli e modifiche effettuati esclusivamente
di fronte a palesi eccessi encomiastici.
Risultano
quattro testi scritti appositamente su Bruno Saetti da parte di Carlo
L. Ragghianti. Ovviamente esistono citazioni o riferimenti puntuali a
Saetti contenuti in altri scritti di Ragghianti, come ad es.
l'articolo su la XXXI Biennale di Venezia (“L'Espresso”, Roma 23
settembre 1962) o su “SeleArte”. E' questa una ricerca che può
essere fatta soltanto in vista di un approfondimento monografico,
oppure nell'ambito di schedature sistematiche.
Il
primo intervento dedicato al pittore è un estratto dal più volte
citato saggio La III Quadriennale d'Arte Italiana (“La
Critica d'Arte”, a.V, n.1, XXIII, feb.-mar. 1940). Si tratta di una
valutazione sostanzialmente riduttiva (si veda in proposito nella
prima parte di questo post alla voce Bocchi), che contiene
riflessioni di carattere generale. Lo riproduciamo integralmente:
Il
secondo scritto di Carlo L. Ragghianti è del 1977, quando il critico
pubblicò la pagina di presentazione alla cartella “Sei muri” di
Saetti, stampata da Pistelli per la Galleria della
grafica Palazzo Vecchio di Firenze che
lo diffuse anche tramite un opuscolo con le illustrazioni a colori
dei sei muri, e poi sul quotidiano “La Nazione”. Qui sotto eccone
il testo:
Del
1981 è il terzo scritto, un saggio che C.L.R. dedica con le pp.
93-95 nel Catalogo – monografia (a c. di Tommaso Paloscia, Salani
editore) della mostra antologica a Palazzo Strozzi, all'interno del
quale furono riprodotte le quindici importanti opere della donazione
di Bruno Saetti alla Città di Firenze per il costituendo Museo
d'arte contemporanea, allora ancora
chiuso
nei Magazzini comunali nonostante le insistenze di esporlo da parte
di C.L. Ragghianti. Questo scritto fu poi pubblicato nel 1982 (pp.
257-70) con il titolo Con Saetti a Montepiano nel volume
Bologna cruciale 1914 e saggi su Morandi, Gorni e Saetti. Da
questo libro, per via di una migliore veste tipografica, lo
riproduciamo assieme a sei affreschi della donazione a Firenze:
L'ultimo
intervento di C.L. Ragghianti riguardante l'opera di Saetti, sempre
edito da “Galleria d'Arte Palazzo Vecchio” nell'ottobre 1983, in
un catalogo a cura di Franco Solmi. Anche in questa breve e densa
pagina il critico riflette sugli affreschi di Bruno Saetti (il quale
morirà l'anno seguente) e ci affida il ricordo, come possiamo
leggere qui di seguito, di
un artista
che “recapitola il suo passato, è propenso a momenti di sensitiva
melanconia e di nostalgia. La sua arte non ha derive o svolte per
questo, ma si accenta di nuove tonalità effettive, di temperati
abbandoni, talvolta di ricordi tra accesi e teneri”.
F.R.
(11 settembre 2019)
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