Venturino
Venturi (1918-2002) a causa della mentalità retriva pre-Basaglia
imperante nella medicina delle malattie mentali fino (e talvolta
oltre) gli anni Cinquanta, fu ricoverato – per quello che non era
altro che un forte esaurimento nervoso – in manicomio. Ero ancora
ragazzetto ma ricordo benissimo che sorse e si sviluppò decisa una
campagna articolata perché lo scultore fosse curato diversamente e
dimesso subito. Mio padre, che già conosceva ed apprezzava
Venturino, si adoperò per questa causa di cui parlavano spesso
Alfredo Righi, Pier Carlo Santini ed altri abituali frequentatori
dello Studio Italiano di Storia dell'Arte in Palazzo Strozzi. Mi
colpì soprattutto le veemenza indignata ed attiva con cui si batteva
pro Venturino l'allor giovane Ida Cardellini (assistente di mio
padre fin dal suo accesso alla cattedra di Pisa del 1° gennaio 1949)
che generosamente smosse “mari e monti” per questa causa
umanitaria.
Comunque,
anche grazie alla contiguità con Emilio Greco nella creazione di
quel mirifico parco di Villa Garzoni a Collodi, Venturino da allora
fu una presenza costante per la mia attenzione all'ambiente artistico
fiorentino e limitrofo, come l'appartata Loro Ciuffenna dove
l'artista viveva ed operava.
Carlo
L. Ragghianti ebbe da quel tempo sempre cordiali rapporti con
Venturino, come in questo blog si può verificare nel fascicolo di
“SeleArte” (IV s., n.4, autunno 1989, pp.33-44) che fu postato il
19 dicembre 2016.
Non
so perché ma fino al 1968 non conoscevo Mario Luzi, salvo accenni di
mia madre circa la sua poesia, i soliti pettegolezzi sull'aspirazione
al Nobel da parte dello scrittore, il fatto che fosse – bontà sua
– stato “aio” di Enrico Guaita (Gnagna nei nostri anni
universitari), nipote della indomita Maria Luigia. Però fui io a
curare e impaginare il fascicolo di “Critica d'Arte” (n.96,
giugno 1968, pp. 13-18) dove pubblicammo il saggio di Mario Luzi, la
cui lettura confermò, confortò e sviluppò le mie confuse
osservazioni sulla grandezza di Venturino.
Vent'anni
dopo – trent'anni fa – lo scritto intitolato Venturino Venturi
negli anni '60 Mario Luzi consegnò in Redazione un nuovo
intervento sul grande scultore di Loro Ciuffenna, che di nuovo io
impaginai e curai. Questo saggio fu stampato, col suggestivo titolo
L'arte e la vita, Venturino Venturi, in “Critica d'Arte”
(IV s., n.20, apr.-giu. 1989, pp.75-80) la quale riprendeva la
pubblicazione – con formato più grande – dopo la morte del
fondatore e Direttore Carlo L. Ragghianti (3 agosto 1987).
Di
questa IV serie fui il Responsabile e il Redattore Capo, dato che
altri stavano annusando il vento cercando il loro ubi consistam,
senza volersi ancora esporre o schiarare nell'Università
Internazionale dell'Arte e presso l'editore Panini.
Nel
ventennale intervallo tra le due pubblicazioni, ebbi l'onore di
conoscere un po' più che con il banale “buongiorno, come sta?”
Mario Luzi, una persona veramente colta e dedita alla tramitazione
del sapere soprattutto nei confronti dei giovani. Egli era, infatti,
un professore per vocazione ma soprattutto un poeta di impostazione
classica.
Grazie
a Piero Pananti ebbi poi l'opportunità di andare a trovare diverse
volte il Maestro Venturi nel suo studio suggestivo di Loro Ciuffenna.
Debbo riconoscere e in un certo senso confessare (perché esprimere
determinati propri sentimenti equivale a svelare aspetti della
propria interiorità) che avevo la sensazione di fronte a Venturino
di essere un astante ammesso alla consuetudine di vita e spiritualità
di un sant'uomo, di un guru. Venturino lavorava (e insieme anche
parlava pacato, quasi ispirato) con gesti antichi, rituali ed
evocativi. In un certo senso mi sentivo come un familiare di un
apostolo ammesso alla presenza di un profeta. Tornavo a Firenze
veramente rasserenato, anche se non sapevo esattamente di cosa e per
cosa.
Sempre
grazie al caro e prezioso amico Piero Pananti – che per Venturino
oltre a grande stima ed ammirazione aveva una sorta di pietas
filiale marcata ma gentile, com'è nella sua natura – debbo a fine
degli anni Novanta aver avuto una lastrina incisa dall'artista,
destinata a illustrare e impreziosire un fascicolo del domestico
“SeleArte” (IV serie, 1988-1999).
Purtroppo
il trasloco delle nostre biblioteche e del mio Archivio da Firenze a
Vicchio alla fine del 1999/inizi 2000 – congiunto a una certa
ristrettezza pecuniaria derivante dall'acquisto per contanti della
nuova casa contenitrice delle carte, nonché la rottura della
stampante (costosa!) - mi costrinsero a sospendere la pubblicazione
di “SeleArte”. Non escludo a posteriori che nel subcosciente
agisse a pro della cessazione del periodico – più che il riscontro
dello scarso interesse suscitato nei selezionati ricevitori –
soprattutto l'incongruenza del rapporto tra risultato e fatica di
progettarlo prima e realizzarlo poi personalmente e manualmente, cioè
comporre i testi e realizzare le illustrazioni b/n al tratto,
impaginare, stampare, foglio per foglio e confezionare con punti
metallici, imbustare, indirizzare, affrancare e portarlo alle PP.TT.
Per la distribuzione (il tutto gratis!).
La
lastrina di Venturino nel frattempo era stata stampata (non ricordo
se da Rodolfo Ceccotti o da un artigiano operante per Guido Pinzani)
e le copie firmate dall'autore nella consueta tiratura (1-100 + I-X).
Dato
che si trattava di un dono per la mia rivista, era assolutamente da
escludere ogni tipo di cessione contro denaro, né un uso improprio.
La tiratura, quindi, restò per qualche tempo in beato letargo.
Quando
Rosetta ed io venimmo a Vicchio a vedere per la prima volta quella
che sarebbe stata la sede delle nostre dimore, ci trovammo di fronte
ad uno “scheletro” da tetto a ipogeo, con completate soltanto le
fondamenta e i piani intermedi, senza finiture e con gli impianti da
inserire. Siccome, per le tresche tra quei … di agenti immobiliari
e derivato sottobosco, non saremmo stati risarciti della vendita di
Villa La Costa (in senso proprio; così l'aveva “battezzata”
C.L.R., in un raro – e incompreso – lampo di umorismo) fino alla
sua consegna agli acquirenti totalmente svuotata e con le loro
divisioni murarie già realizzate, non avevamo la disponibilità
necessaria per acquistare o prendere impegni immediati per la nuova
casa. I venditori di Vicchio volevano essere pagati a rate, sì, ma
da subito e fummo costretti a fare i salti mortali per conciliare
quelle esigenze tanto divergenti.
Al
di là della parte “soldi”, dovemmo provvedere, aiutati dai cari
amici Gasparrini ed altri, a trovare fornitori e maestranze che
costruissero l'abitabilità della struttura, ecc. Dovetti, per
consentire i lavori, trovare due magazzini nei quali parcheggiare
libri, archivi, mobili e quant'altro fino alla conclusione della
mattonellatura e delle finestrature. Non furono certo tutte rose e
fiori, né tutti i fornitori furono professionalmente irreprensibili
e competenti senza bisogno di assillanti controlli. Però ce la
facemmo senza debiti o altre inadempienze.
Alla
fine di tutte queste traversie mi sentii in debito verso tante
persone nei confronti delle quali non sapevo come sdebitarmi e
manifestare gratitudine, almeno simbolicamente. Fu così che mi venne in mente la tiratura dell'incisione di Venturino come oggetto-ricordo
tangibile della realizzazione di una “casa Ragghianti”, per
contenuti continuazione delle nostre peculiarità famigliari.
Previo
consenso dell'autore, che trovò degno lo scopo sostitutivo, Leonardo
Baglioni realizzò una “copertina” (con titolo a p.1; a p.2 un
mio sonetto “mi figue, mi rasin”, per dirla alla francese)
contenente un esemplare della figura attonita ma benevolmente
benedicente l'umanità (buoni e cattivi) realizzata da Venturino.
Naturalmente consegnai anche ai “collaboratori” insoddisfacenti
l'incisione, ammonendoli che eravamo consci del loro cattivo servizio
negli ultimi versi della proesia.
Nel
2001 Venturino Venturi ci lasciò – m'auguro serenamente –
addolorati però consci dell'onore di averlo conosciuto e
frequentato, convinti anche che il suo “genio” è di quelli che
sfidano i secoli.
F.R.
(28 ottobre 2019)
