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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
In
questa quinta uscita della sezione “Schede dei critici” il
protagonista è Fortunato Bellonzi (1907-1993). Grazie al volume
Fortunato Bellonzi e Pisa (2003, CLD libri) – comprato su
Internet dove l'ho individuato – sono riuscito finalmente a vedere
alcuni dipinti di questo amico di famiglia. Ne sapevo l'esistenza
grazie a mio padre che li rammentava, così come hanno fatto amici
come Emilio Greco. Però non li avevo mai visti in formato decente e
a colori, né nella notevole fototeca del babbo, che riordinai nel
1962-63 e alla quale ho sempre atteso, sia pur saltuariamente, fino
all'invio dell'intera Fototeca alla Fondazione Ragghianti di Lucca, non c'erano riproduzioni leggibili.
Capisco
adesso perché non fossero presenti, penso – cioè – che il caso
Bellonzi come pittore sembra sostanzialmente analogo – con i debiti
e molteplici distinguo – a quello dei Carracci (si veda il post del
7 luglio 2019). Quindi la pittura di Bellonzi è più espressione
culturale, critica in quanto prevalentemente di ricostruzione e
analisi interpretativa dei movimenti vigenti nella sua
contemporaneità, da Futurismo a Lorenzo Viani (di cui il
giovanissimo Bellonzi ricevette amicizia e riconoscimento
paritetico), al “richiamo all'ordine”.
Non
va scordato però che Bellonzi, come molti intellettuali di quella
generazione formatasi prima del fascismo, fu anche scrittore e poeta
di qualità, nonché evidentemente critico d'arte. E' per questo
specifico aspetto che – secondo me – B. abbandonò la pittura
proprio perché consapevole che l'esercitarla confondeva la propria
razionalità volta a capire l'arte più che esprimerla, perché
convinto della tesi espressa circa la prosa figurativa dall'amico
Carlo L. Ragghianti, suo giovane condiscepolo alla scuola di
Marangoni, elaborata proprio in quegli anni. Ciò non toglie che
alcuni dei dipinti superstiti di Bellonzi siano anche espressivamente
poetici, composizioni originali commoventi e commosse. In definitiva,
quindi, in questo caso della nostra rivisitazione della Mostra Arte
Moderna in Italia 1915/1935, il curatore delle schede critiche è
anche lui per molti aspetti un pittore degno di considerazione e di
collocazione storiografica.
Bellonzi,
“Fortunatino” fin dai tempi delle elementari e poi
dell'Università a causa della statura forse di poco superiore a
quella di s.m. il re, paragonava spiritoso sé stesso alla gallina
livornese (“che ha un anno, e par c'abbia un mese”), cosa che a
Pisa denotava sana strafottenza, o a volte anche quella mugellana,
anch'essa “nana”.
Inoltre
F.B. è stata tra le tante persone notevoli o illustri che ho
incontrato una delle più autenticamente dotte e che comunicava agli altri con
leggerezza e spirito il suo sapere senza pedanterie o alterigia: un
intrattenitore profondo e al contempo leggero.
Amico di Carlo L. Ragghianti, per certi versi fraterno, nonostante il cattolicesimo praticante di B. e la sua frequentazione con Marinetti ed altri esponenti culturali collusi col fascismo nell'anteguerra, mentre C.L.R. già era dichiaratamente e attivamente antifascista. Nel dopoguerra B. si legò ai democristiani. Sia ben chiaro, però, che l'incarico alla Quadriennale era più che meritato, perché era Bellonzi a darle il lustro che ebbe, anche se la nomina era discrezionalmente collegata all'orientamento politico. Un avvicinamento personale, professionale e familiare tra Bellonzi e Ragghianti si ebbe alla fine degli anni Sessanta, scaturito proprio da questa Mostra del 1967. Di conseguenza la famiglia Ragghianti conobbe anche la compagna di Bellonzi, Marussia Manzella, giornalista e scrittrice con la quale mia madre Licia strinse un'autentica amicizia. Non
sarò certo io a tracciare un efficace profilo biografico di
Bellonzi, il quale – come molti dei più autentici e illustri
intellettuali, tra cui C.L.R. – è “maltrattato” e sottostimato
nelle biografie diffuse, ufficiali o “popolari” (tipo Wikipedia)
che siano. Anche nella breve biografia contenuta nel citato volume
del 2003 constato un profilo piuttosto carente nel quale si
privilegiano le onorificenze ricevute (utili in vita per le relazioni
sociali, forse) anziché una disamina esauriente del profilo
intellettuale del critico, poeta e pittore Fortunato Bellonzi.
Migliore risulta l'ampia bibliografia che segue la Biografia.
Comunque in quel libro si trovano molte informazioni in pagine spesso
affettuose e criticamente rilevanti da parte di Enzo Carli e Tristano
Bolelli (altri amicissimi di R.), di Vania di Stefano, Giorgio Di
Genova, Nicola Micieli, Gino Agnese, Corrado Guzzi, Alberto Zampieri;
quindi Renzo Galardini, che rende omaggio a B. con la riproduzione di
un'incisione a vernice molle. Infine voglio ricordare la toccante
pagina (75) dedicata “A Fortunato” da Marussia Manzella con
quattro brevi poesie.
Insisto
nel sottolineare che Bellonzi è stato scrittore, poeta e curatore
letterario (es. Proverbi toscani, Martello 1968) non prolifico
ma incisivo. Come studioso, cioè storico e critico d'arte, invece la
sua produzione è stata cospicua e di alta qualità, anche su temi
meno noti e curiosi. Da non confondere, poi, il taglio “divulgativo”
(nel senso ragghiantiano esplicitato in “SeleArte”) dei tanti
saggi pubblicati in prima battuta sul quotidiano “Il Tempo” di
Roma. Non si tratta infatti di mera informazione giornalistica ma di
storia e critica impostata con “canoni” derivanti dal maestro
Matteo Marangoni. Ricordo, per inciso, che F.B. ha collaborato a
“Critica d'Arte” (n.117, mag.-giu. 1971) con un saggio che
riproduciamo qui in appendice. Comunque ritengo opportuno ricordare
l'attività di Bellonzi anche con le parole di Giorgio Di Genova
(“Terzoocchio”, n.108, 2003):
Concludo
con il ricordo, indirettamente collegato a Bellonzi, di Salvatore
Pizzarello (1906 Sarajevo – 1969, Pisa) ritratto, con gli amici
pisani della fine degli anni Venti e inizio Trenta, più volte nel
volume citato. Pittore proveniente da Pirano (terre legate alla
memoria di Licia Collobi e dei suoi antenati Domazetovich e De
Franceschi) giunto a Pisa nel 1928 dove divenne amicissimo di
Bellonzi, pittore a differenza sua ancora futurista. Pizzarello
infatti, era invece pittore tradizionale non eccelso però degno di
considerazione per la coerenza e la costanza affettiva nel riprodurre
aspetti di Pisa e dintorni.
(Si veda qui il dipinto donato dall'a. al costituendo Museo d'Arte Contemporanea di Firenze nel 1967, in seguito all'alluvione del 4.11.'66). Rammento volentieri questo personaggio perché presenza partecipe ed assertiva, ma non invadente, a tutte le manifestazioni e inaugurazioni di Mostre promosse da mio padre e dalle sue collaboratrici e collaboratori universitari nei locali dell'Istituto di Storia dell'Arte in Piazza San Matteo a Pisa.
F.R. (3,4 settembre 2019).
Non
fui l'unico collaboratore alla preparazione e all'allestimento della
Mostra 1915-1935 che rimase affascinato dalla freschezza cromatica e
dalla monumentalità priva di retorica irradiata dai dipinti di
Amedeo Bocchi. Già in fotografia ne rimasi colpito, così come i
membri della Commissione esecutiva che dovevano accogliere o
respingere la proposta “neutrale” dei preparatori del materiale
disponibile e reperibile (magna pars la Fototeca di C.L. Ragghianti
alla quale allora accudivo), in modo da poter poi procedere alla
richiesta di prestito da parte dei proprietari. Persino il
commissario specializzato in futuristi e astrattisti si spese in
parole lusinghiere nei confronti di Amedeo Bocchi. Non sono, però,
del tutto certo che lo facesse perché convinto o, invece, per
solidarietà “romanesca”. Comunque l'entusiasmo per l'artista fu
reciproco a quello di Bocchi per il riconoscimento e per essere stato
“riesumato” dell'oblio. Egli, infatti, donò al costituendo Museo
d'Arte Contemporanea di Firenze (ideato anche in pratica come
iniziativa collaterale alla Mostra 1915-1935) il bellissimo dipinto
La convalescente del 1922.
Il
contributo di C.L. Ragghianti alla critica e alla conoscenza di
Amedeo Bocchi si è sviluppato nel tempo in maniera alquanto
drastica, però in un percorso di osservazione e riflessione che
configurò proprio nella Mostra di Palazzo Strozzi del 1967 il
radicale cambiamento di opinione. Nel saggio sulla Terza Quadriennale
d'arte di Roma (“La Critica d'Arte”, a.V, XXIII, gen.-mar. 1940,
2a parte) C.L.R. liquida seccamente l'artista “... dalla offensiva
schiavitù ottica e realistica del Bocchi”.
Maturare,
quando il processo avviene realmente in modo probo e intemerato (cosa
non troppo frequente), può comportare anche cambiamenti di giudizio
vistosi. Ciò può accadere specialmente quando l'opinione precedente
non può non essere legata a un certo grado di pre-giudizio
dovuto al tempo storico in cui si vive. La ripulsa (ricordo ancora una volta la chiara e sincera Nota postuma a p.101 de Il caso de Chirico, Critica d'Arte, Firenze 1979) di certi giudizi e di certe affermazioni affrettate a causa del detto pre-giudizio, in questo caso di un antifascista bastonato, perseguitato, emarginato, compatito (atteggiamento di fatto altamente lesivo per chi è onestamente e giustificatamente orgoglioso di sé e dei propri risultati acquisiti con fatica e sofferenza), la ripulsa – dicevo – è più che legittima, inevitabile quando non è praticamente possibile distinguere il bene dal male trionfante e declamante, per dirla “politicamente” : i buoni dai cattivi. Insisto
su questo aspetto perché ho avuto modo di notare che in tanti,
troppi, studiosi –soprattutto di materie umanistiche nelle quali è
impossibile non storicizzare – che non si pratica lo stesso metodo
di analisi nei confronti delle ambiguità, delle contraddizioni, dei
voltafaccia, stendendo invece veli pietosi e operando omissioni anche
cospicue. Certo i cambiamenti vanno scevrati accuratamente, valutati
per quel che sono e accettati e circoscritti solo quando sono
metodologicamente ed eticamente irreprensibili. Altrimenti bisogna
dire il vero senza giustificazioni. Heidagger, per es., è una
persona riprovevole. Punto. Ha contribuito a chiarire certi problemi.
Altrimenti ha “seminato zizzania” (Matteo 13: 24-30).
Tornando
all'ottimo Bocchi – che sembra, oltretutto, uno dei pochi artisti
dell'epoca fascista completamente, estraneo ai dettami del regime –,
di Carlo L. Ragghianti riproduco in questa sede non solo il testo
introduttivo alla elegante monografia su (De Luca, editore, Roma
1970) ma anche la lettera che lo studioso indirizzò all'artista il
23 marzo 1970. Sempre dal medesimo libro riporto il saggio di
Fortunato Bellonzi, “illuminante” secondo C.L.R.
F.R.
(3 settembre 2019)
In
analogia con quanto avvenuto con Bocchi, non soltanto per me, anzi
direi per tutto lo staff della Mostra, Nicola D'Antino fu uno degli
artisti allora ormai “misconosciuti” più coinvolgenti,
avvincenti. Purtroppo ciò non poté avvenire per il numeroso
pubblico che visitò la Mostra perché le sue splendide figure
femminili non poterono essere esposte. Questo grande artista,
infatti, fu costretto a subire una ulteriore esclusione dalla
circolazione risiva perché le sue sculture furono bloccate nel
magazzino dell'Ufficio de La Strozzina (dove rimasero per molti anni,
sconsolando di ambasce il pavido Nino Lo Vullo) da una ingiunzione
del Tribunale in seguito alla litigiosità degli eredi. Le sculture
di D'Antino erano state consegnate ancora vivente l'artista a fine
ottobre, pochi giorni prima della prevista inaugurazione della
Mostra, rimandate al successivo 26 febbraio 1967 a causa
dell'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966.
Questa
curiosa circostanza diciannove anni dopo convinse Carlo L. Ragghianti
a rendere nota la sua opinione su questo artista nel breve saggio
Nicola D'Antino, chi l'ha visto? (nel quale sono riprodotte
tutte le opere da esporre nel 1967) pubblicato in “Critica d'Arte”
(IV s., n.6, lug.-sett. 1985, pp. 33-37) che qui di seguito
riproduciamo integralmente.
Nel
frattempo l'artista, di cui era andata smarrita la memoria del
dopoguerra, era rimasto praticamente ignorato. Finalmente nel 1987,
grazie agli studi di Maria Grazia Tolomeo Speranza (in “Tempo
presente”, n.82/83, 1987 e nella monografia, esauriente, edita
nello stesso anno da De Luca) la fama di D'Antino fu rinverdita
meritevolmente. Da questo libro riproduciamo anche la Presentazione
di Fortunato Bellonzi.
F.R.
(5 settembre 2019)
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