Carlo e Licia

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sabato 30 novembre 2019
domenica 24 novembre 2019
Alois Riegl: Arte tardoromana, 3 (I).
giovedì 21 novembre 2019
{bacheca} Scuola, 1.
Per
piantare i semi di antidoti e cercare di contrastare alla radice la
deriva presente apparentemente inarrestabile con le sue naturali,
inesorabili volgarità, barbarie, ignoranza non esistono strumenti
civili più efficaci della Scuola,
di ogni ordine e grado.
Per
questo motivo questo blog si sente impegnato a tentare di dare
qualche contributo propositivo e, se capiterà, formativo per
riflettere su questo problema essenziale per lo sviluppo e la civiltà
di ogni tipo di società. La scuola è irrinunciabile
strumento di democrazia.
L'arroganza
becera, l'hybris di potere hanno portato un esponente retrogrado,
intimamente triviale a commettere un grossolano ma irreparabile
errore che lo ha estromesso dal potere che stava manipolando con uno
spostamento verso l'estrema destra, per usare un eufemismo invece che
verso una “demokratura” fascistoide. Il pericolo resta,
purtroppo, praticamente intatto, stante la qualità meschina della
“classe” dirigente e dell' “intellighentia”.
Chi
afferma, più o meno subdolamente, che studiare oltre l'obbligo è
inutile soprattutto per una vita di successo economico mente
spudoratamente. Costoro diffondono una notizia falsa e tendenziosa
(fatto che credo costituisca anche reato penale). Questi profittatori
lo fanno per tre motivi: ipocrita il primo, consiste nel ridurre la
concorrenza a sé stessi e/o ai propri figli che hanno studiato. Il
secondo caso si ravvisa soprattutto in politica e consiste nel
vantaggio di avere a che fare con ignoranti cioè sprovveduti, quindi
subornare gli incolti votanti e renderli utili idioti. La terza
fattispecie, essenziale per i “vice” e i collaboratori, si
manifesta nell'abbassare al proprio livello altri cialtroni, oppure
sollevarli apparentemente al proprio, in modo da farsi forti e
vincenti col numero sbraitante di “prima gli italiani”.
Sulla
base di considerazioni come le suddette e altre osservazioni
deprimenti, presenteremo perciò, in maniera non sistematica,
soprattutto documenti degni di qualche riflessione informativa e di
proponimento. Vorrei evitare, almeno per il momento, il più possibile di ricorrere alla
vasta letteratura sulla scuola prodotta da Carlo L. Ragghianti, soprattutto perché “tecnica” e su questo piano anche in parte
superata dagli accadimenti dei decenni trascorsi e, quindi,
interpretabile e “rilanciabile” da parte di specialisti –
sempre che ce ne siano di validi – i quali dovrebbero ripercorrere il
cospicuo lascito in materia dello studioso lucchese, “stranamente”
per ora rimasto intonso negli archivi e nelle biblioteche, quasi che
questo aspetto della sua attività sia considerato, inerte, inutile.
Ricordo, comunque, alcuni scritti di R. sulla scuola e l'Università
pubblicati in questo blog e nella IV serie di “SeleArte”, anche
essa integralmente ripubblicata nel blog con suoi indici
situati nella barra della “Homepage” del sito. Si tratta di
argomenti forse collaterali ma informativi e formativi, cioè del
post del 21 maggio 2017 (R. docente, 3. Dall'Università alla
scuola); del post del 13 settembre 2018 (Lo studio dell'arte; R. e la
scuola). In “SeleArte” si vedano i fascicoli n. 21 (6 dicembre
2017; Professionalità di R.); fascicolo n.24 (7 febbraio 2018;
Magisterio di R.); anche la Monografia di “SeleArte” (10 agosto
2017; L'anima dell'uomo sotto il socialismo, di Oscar Wilde) contiene
spunti paradossali di un certo interesse.
In
parziale contraddizione con quanto qui affermato all'inizio, si
inizia questa sezione del blog con la riproposta di due scritti di
Carlo L. Ragghianti comparsi su “Criterio”, la rivista che
promosse e diresse tra il 1957 e il 1958 per vivificare un fronte
laico che andava dal PRI di Ugo La Malfa, a frange colte del PSDI e
del PSI, ai Radicali di Rossi e Pannunzio, al Movimento di Comunità
di Adriano Olivetti, fino ai pochi liberali PLI non liberisti. Questi
due scritti, “Scuola privata senza oneri per lo Stato”
(n.5, maggio 1957) e “La grande malata” (n.10, ottobre 1957) sono
precedenti all'impegno pluriennale diretto e gravoso di Presidente
della Associazione Difesa e Sviluppo Scuola Pubblica Italiana
(ADESSPI), un fronte laico, che andava dalla minoranza liberale al
Partito Comunista Italiano, contrapponendosi con efficacia alla
componente clericale che sosteneva e viveva anche di scuola privata.
F.R.
(17 settembre 2019)
lunedì 18 novembre 2019
Il progresso dell'arte. C.L. Ragghianti e Decio Gioseffi.
Mi
sono appuntato, non ricordo quando però, la conclusione della
lettera del 18 febbraio 1968 scritta da Carlo L. Ragghianti ad Andrea
Mariotti, giovane architetto, collaboratore di “Critica d'Arte” e
studioso, avvicinatosi a R. spontaneamente, promettente però
afflitto da una malattia incurabile e inesorabile. In essa mio padre
dice: “p. 13: geometria, immatura ed elementare? Ne dubito forte;
p. 18: rozzezza? Direi, al contrario, una sensibilità e una
raffinatezza quasi tormentose, una maturità di possesso estrema. Ma
forse non ho bene inteso il limite che hai voluto porre, o è una
concessione al mito del “progresso dell'arte” (neretto
mio).
La
deduzione è evidente: nel pensiero di R. non si verifica “progresso”
dell'arte; pensarlo attiene alla mitografia.
Certamente in vari studi, libri e lezioni R. si sarà confrontato col problema. Anche se al momento non ho
presenti suoi estratti sulla questione,
penso che riproporre il serio, al contempo di affabile lettura,
nonché importante studio che Decio Gioseffi (1919-2007) pubblicò su
“Critica d'Arte” (n. 94, aprile 1968; pp. 11-24) sia un
contributo già esauriente circa l'argomento sia sulla scia della
metodologia che mio padre ha sviluppato, sia se non altro perché R.
l'ha accettato e pubblicato. A seguire il testo del caro amico
triestino, uomo compassato ma ironico, cordiale ma irremovibile,
gentile ma riservato e del quale quest'anno – vedo – cade il
centenario della nascita (che vorrei ricordare prossimamente), posto
(cioè pubblico; non mi sono ancora abituato a quel poco di
terminologia internettiana che conosco) anche il breve “commento”
Arte progresso storia (da
“Critica d'Arte”, IV s., n.11, 1968, p.7) firmato da Ragghianti.
Si tratta di un esempio circoscritto attinente l'argomento.
F.R.
(21 maggio 2019)
venerdì 15 novembre 2019
giovedì 14 novembre 2019
martedì 12 novembre 2019
Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 5/I. Fortunato Bellonzi. (BOCCHI, D'ANTINO).

Post Precedenti:
1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28 settembre 2018
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
In
questa quinta uscita della sezione “Schede dei critici” il
protagonista è Fortunato Bellonzi (1907-1993). Grazie al volume
Fortunato Bellonzi e Pisa (2003, CLD libri) – comprato su
Internet dove l'ho individuato – sono riuscito finalmente a vedere
alcuni dipinti di questo amico di famiglia. Ne sapevo l'esistenza
grazie a mio padre che li rammentava, così come hanno fatto amici
come Emilio Greco. Però non li avevo mai visti in formato decente e
a colori, né nella notevole fototeca del babbo, che riordinai nel
1962-63 e alla quale ho sempre atteso, sia pur saltuariamente, fino
all'invio dell'intera Fototeca alla Fondazione Ragghianti di Lucca, non c'erano riproduzioni leggibili.
Capisco
adesso perché non fossero presenti, penso – cioè – che il caso
Bellonzi come pittore sembra sostanzialmente analogo – con i debiti
e molteplici distinguo – a quello dei Carracci (si veda il post del
7 luglio 2019). Quindi la pittura di Bellonzi è più espressione
culturale, critica in quanto prevalentemente di ricostruzione e
analisi interpretativa dei movimenti vigenti nella sua
contemporaneità, da Futurismo a Lorenzo Viani (di cui il
giovanissimo Bellonzi ricevette amicizia e riconoscimento
paritetico), al “richiamo all'ordine”.
Non
va scordato però che Bellonzi, come molti intellettuali di quella
generazione formatasi prima del fascismo, fu anche scrittore e poeta
di qualità, nonché evidentemente critico d'arte. E' per questo
specifico aspetto che – secondo me – B. abbandonò la pittura
proprio perché consapevole che l'esercitarla confondeva la propria
razionalità volta a capire l'arte più che esprimerla, perché
convinto della tesi espressa circa la prosa figurativa dall'amico
Carlo L. Ragghianti, suo giovane condiscepolo alla scuola di
Marangoni, elaborata proprio in quegli anni. Ciò non toglie che
alcuni dei dipinti superstiti di Bellonzi siano anche espressivamente
poetici, composizioni originali commoventi e commosse. In definitiva,
quindi, in questo caso della nostra rivisitazione della Mostra Arte
Moderna in Italia 1915/1935, il curatore delle schede critiche è
anche lui per molti aspetti un pittore degno di considerazione e di
collocazione storiografica.
Bellonzi,
“Fortunatino” fin dai tempi delle elementari e poi
dell'Università a causa della statura forse di poco superiore a
quella di s.m. il re, paragonava spiritoso sé stesso alla gallina
livornese (“che ha un anno, e par c'abbia un mese”), cosa che a
Pisa denotava sana strafottenza, o a volte anche quella mugellana,
anch'essa “nana”.
Inoltre
F.B. è stata tra le tante persone notevoli o illustri che ho
incontrato una delle più autenticamente dotte e che comunicava agli altri con
leggerezza e spirito il suo sapere senza pedanterie o alterigia: un
intrattenitore profondo e al contempo leggero.
Amico di Carlo L. Ragghianti, per certi versi fraterno, nonostante il cattolicesimo praticante di B. e la sua frequentazione con Marinetti ed altri esponenti culturali collusi col fascismo nell'anteguerra, mentre C.L.R. già era dichiaratamente e attivamente antifascista. Nel dopoguerra B. si legò ai democristiani. Sia ben chiaro, però, che l'incarico alla Quadriennale era più che meritato, perché era Bellonzi a darle il lustro che ebbe, anche se la nomina era discrezionalmente collegata all'orientamento politico. Un avvicinamento personale, professionale e familiare tra Bellonzi e Ragghianti si ebbe alla fine degli anni Sessanta, scaturito proprio da questa Mostra del 1967. Di conseguenza la famiglia Ragghianti conobbe anche la compagna di Bellonzi, Marussia Manzella, giornalista e scrittrice con la quale mia madre Licia strinse un'autentica amicizia. Non
sarò certo io a tracciare un efficace profilo biografico di
Bellonzi, il quale – come molti dei più autentici e illustri
intellettuali, tra cui C.L.R. – è “maltrattato” e sottostimato
nelle biografie diffuse, ufficiali o “popolari” (tipo Wikipedia)
che siano. Anche nella breve biografia contenuta nel citato volume
del 2003 constato un profilo piuttosto carente nel quale si
privilegiano le onorificenze ricevute (utili in vita per le relazioni
sociali, forse) anziché una disamina esauriente del profilo
intellettuale del critico, poeta e pittore Fortunato Bellonzi.
Migliore risulta l'ampia bibliografia che segue la Biografia.
Comunque in quel libro si trovano molte informazioni in pagine spesso
affettuose e criticamente rilevanti da parte di Enzo Carli e Tristano
Bolelli (altri amicissimi di R.), di Vania di Stefano, Giorgio Di
Genova, Nicola Micieli, Gino Agnese, Corrado Guzzi, Alberto Zampieri;
quindi Renzo Galardini, che rende omaggio a B. con la riproduzione di
un'incisione a vernice molle. Infine voglio ricordare la toccante
pagina (75) dedicata “A Fortunato” da Marussia Manzella con
quattro brevi poesie.
Insisto
nel sottolineare che Bellonzi è stato scrittore, poeta e curatore
letterario (es. Proverbi toscani, Martello 1968) non prolifico
ma incisivo. Come studioso, cioè storico e critico d'arte, invece la
sua produzione è stata cospicua e di alta qualità, anche su temi
meno noti e curiosi. Da non confondere, poi, il taglio “divulgativo”
(nel senso ragghiantiano esplicitato in “SeleArte”) dei tanti
saggi pubblicati in prima battuta sul quotidiano “Il Tempo” di
Roma. Non si tratta infatti di mera informazione giornalistica ma di
storia e critica impostata con “canoni” derivanti dal maestro
Matteo Marangoni. Ricordo, per inciso, che F.B. ha collaborato a
“Critica d'Arte” (n.117, mag.-giu. 1971) con un saggio che
riproduciamo qui in appendice. Comunque ritengo opportuno ricordare
l'attività di Bellonzi anche con le parole di Giorgio Di Genova
(“Terzoocchio”, n.108, 2003):
Concludo
con il ricordo, indirettamente collegato a Bellonzi, di Salvatore
Pizzarello (1906 Sarajevo – 1969, Pisa) ritratto, con gli amici
pisani della fine degli anni Venti e inizio Trenta, più volte nel
volume citato. Pittore proveniente da Pirano (terre legate alla
memoria di Licia Collobi e dei suoi antenati Domazetovich e De
Franceschi) giunto a Pisa nel 1928 dove divenne amicissimo di
Bellonzi, pittore a differenza sua ancora futurista. Pizzarello
infatti, era invece pittore tradizionale non eccelso però degno di
considerazione per la coerenza e la costanza affettiva nel riprodurre
aspetti di Pisa e dintorni.
(Si veda qui il dipinto donato dall'a. al costituendo Museo d'Arte Contemporanea di Firenze nel 1967, in seguito all'alluvione del 4.11.'66). Rammento volentieri questo personaggio perché presenza partecipe ed assertiva, ma non invadente, a tutte le manifestazioni e inaugurazioni di Mostre promosse da mio padre e dalle sue collaboratrici e collaboratori universitari nei locali dell'Istituto di Storia dell'Arte in Piazza San Matteo a Pisa.
F.R. (3,4 settembre 2019).
sabato 9 novembre 2019
Ragghianti - Ferrarotti, 1956-1957.
Come
anticipato nel post i rapporti di Franco Ferrarotti con Carlo L.
Ragghianti furono improntati a cordialità formale e quindi nel tempo
sostanzialmente ridotti e poi interrotti, data la distanza degli
interessi indagati dai due studiosi sommata alla antitetica
metodologia delle loro ricerche.
Nella
importante lettera del 18.12.1956, Ragghianti scrive al "delfino"
sociopolitico di Adriano Olivetti – all'epoca in piena campagna
organizzativa e di radicamento nel territorio del Movimento di
Comunità conclusasi nel 1958 – le proprie osservazioni, suffragate
da antecedenti e superati studi piuttosto approfonditi sugli
argomenti positivistici e sociologici, circa le indagini teoriche e
le applicazioni che Ferrarotti opera nella pratica e negli studi.
Questa parte della lettera è particolarmente indicativa per la
formazione e il percorso evolutivo di Ragghianti. Nella seconda parte
della comunicazione lo studioso lucchese entra nel merito della
questione lavoro, operaio in particolare, che il Movimento di
Comunità tentava di desclerotizzare nei confronti dei sindacati
esistenti, troppo politicizzati e resi troppo spesso mere cinture di
trasmissione dei partiti di riferimento. Importante la rivendicazione
dell'"autogoverno del lavoro" e il conseguente tentativo
operato a Firenze dal C.T.L.N. nel 1944-45. Infatti la questione è
tuttora aperta e – seppur timidamente – evocata per renderla in
qualche modo operativa, ma anche perché quell'esperimento e gli
studi e le ricerche che gli sono "a monte" sono argomenti
non solo storiografici da indagare con un'ottica politicamente
depurata dai vecchi ideologismi ma costituiscono anche idee da
sottoporre a indagine metodologica per renderli idonei ai tempi
presenti cui l'automazione e la mondializzazione hanno creato
possibili punti interrogativi con probabili drammatiche conseguenze.
Agli
scottanti fenomeni in atto nel mondo produttivo e nella società e
alle questioni discusse nella lettera citata, Ferrarotti risponde con
una relazione al Convegno "Libertà e Società" (30
novembre-1 dicembre 1957, Roma, Teatro Duse) che riporto
integralmente dopo la lettera di C.L.Ragghianti. In questo saggio il
giovane, e già apprezzato sociologo nonché operatore sul terreno
con i tanti attivisti intellettuali legati al Movimento di Comunità,
analizza tra le altre anche la condizione operaia (si ricordi che sul
fronte marxista-leninista si stava formando l'operaismo di Mario
Tronti, Toni Negri, Raniero Panzieri i quali predicavano che fossero le lotte operaie a determinare lo sviluppo del
capitalismo, e non viceversa) in un'ottica collegabile alle istanze cui fa riferimento Carlo L. Ragghianti nella lettera precedente.
Questo
rilevante Convegno che ebbe una certa risonanza e qualche impatto
sociale (ad es. sulla U.I.L. che allora disponeva anche di un gruppo
intellettuale di orientamento anglosassone piuttosto attivo nelle
Edizioni Opere Nuove) sottostimati dalla storiografia specifica, fu
ideato e voluto da Carlo L. Ragghianti ed organizzato sotto l'egida
promotrice delle riviste "Criterio", "Comunità",
"Itinerari", "Nord e Sud", "Opinione",
"Il Ponte", "Tempo presente", "Tempi
moderni". Anche di questo dimenticato convegno riproporremo una
ampia silloge in questo blog.
Dal
"Congedo" che Carlo L. Ragghianti rivolge agli intervenuti
alle due giornate del Convegno stralciamo i tre paragrafi che
riguardano la relazione di Ferrarotti e la sua ripercussione sul
dibattito.
F.R.
(12 aprile 2019)
mercoledì 6 novembre 2019
Censure sull'arte.
1. Censura d'attualità
Sono
già diversi anni che la comunità internazionale attiva sul web e
sui social si è indignata contro la decisione da parte del colosso
mediatico Facebook di applicare una politica di censura sulle
immagini che è permesso ai privati di pubblicare sui propri profili
Facebook.
Nel
regolamento infatti sono espressamente riportati le tipologie di
contenuti non ammessi sulla piattaforma social: tra i contenuti
violenti, autolesionisti e di istigazione all'odio e le minacce e
attacchi verso terzi, troviamo anche la dicitura “Nudità o altri
contenuti sessualmente espliciti”.
Niente
da dire sull'attenzione da parte del team di Facebook a limitare
l'accesso o il fortuito capitare di giovani e anche giovanissimi su
immagini e altro tipo di contenuti pornografici, erotici o
sessualmente espliciti. Il problema e l'ondata di critiche e
sostenuto dissenso si è però scatenata quando una serie di casi al
limite del ridicolo ha reso noto alla comunità di utenti di Facebook
che questo stesso algoritmo, usato per determinare quali immagini o
post contravvengano alle linee guida del regolamento e quindi siano
da censurare, viene anche applicato al nudo artistico. Numerose opere
d'arte di interesse, pregio storico e artistico internazionale sono
state colpite da questa indiscriminata e bigotta pratica di forzato
silenzio: alcuni esempi sono le sculture di Antonio Canova, la
Sirenetta di Copenhagen, i nudi di Tiepolo o di Modigliani,
addirittura la foto artistica della piccola Kim Phuc che correva nuda
per scampare all'attacco al Napalm durante la Guerra del Vietnam.
Testimonianze
artistiche, storiche, sociali importanti e che non hanno
assolutamente sfondo sessuale o erotico, se non forse
nell'inevitabile mente malata di qualcuno psicologicamente
disturbato. E' disarmante la totale superficialità con cui viene
portato avanti questo processo, organizzato per essere incapace di
valutare la natura e l'intento espressivo di quella particolare
rappresentazione di nudità: dovrà pur esserci una differenza tra il
modo in cui guardiamo una foto pornografica fine a sé stessa ed il
David di Michelangelo o immagini che testimoniano le atrocità
compiute in zone di guerra e che capitano di mostrare qualcuno
svestito! Questa assurda decapitazione di riproduzioni e foto
artistiche sul sito di Facebook viene operata da un team di
moderatori sparsi per il mondo che lavorano per segnalazione, spesso
censurando preventivamente l'immagine non appena qualche utente
(ignorante, bigotto, mancante evidentemente della sensibilità non
solo artistica ma anche umana di comprendere il messaggio che sta
dietro all'opera di nudo in quanto tale) decide di manifestare la
propria ottusità segnalandola come inappropriata, oscurando quindi
il post e spesso “punendo” anche l'utente responsabile della
pubblicazione con blocchi temporanei del profilo (una sorta di esilio
a tempo dal social media) senza controllare la legittimità della
segnalazione se non in un secondo momento, ripristinando
eventualmente il post qualora
venga trovata infondata. Nel
caso della celebre foto già citata, manifesto della brutalità della
guerra del Vietnam negli anni Sessanta e Settanta, dopo moltissimi
reclami il team di Facebook ha deciso di ripristinare il post ed il
profilo del giornalista norvegese che l'aveva pubblicata, con queste
parole:
“Un'immagine di un bambino nudo – c'è scritto –
normalmente, violerebbe i nostri community standard, e in alcuni
Paesi potrebbe addirittura essere considerata un'immagine
pedopornografica. In questo caso, riconosciamo la storia e
l'importanza globale di questa immagine nel documentare un
particolare momento storico. Grazie al suo status di immagine iconica
di importanza storica, il valore della sua condivisione supera il
valore della protezione sociale attraverso la rimozione, quindi
abbiamo deciso di ripristinare l'immagine su Fb ”.
E'
vero che in quanto piattaforma privata di proprietà di Mark
Zukerberg hanno effettivamente il diritto legale di stabilire le
proprie linee guida ed il proprio regolamento interno –
consultabile sul sito stesso, ma piuttosto approssimativo nelle
spiegazioni – e che gli utenti che decidono di iscriversi e creare
un profilo su Facebook sono tenuti ad informarsene e, qualora non
siano d'accordo, hanno la scelta a loro disposizione se rimanere o
meno tra i milioni di persone che danno potere e allargano non solo
le casse ma anche i tentacoli di influenza del gigante americano.
Tuttavia,
ognuno di noi ha l'incontrovertibile libertà di esprimere il proprio
disaccordo qualora fenomeni di questo tipo mettono a serio rischio la
capacità soprattutto delle nuove generazioni – che vi incentrano
purtroppo gran parte della loro vita e che le elevano a fonti da cui
imparare i propri valori, le proprie convinzioni ed interessi – di
sviluppare la sensibilità che permette di andare a fondo, di vedere
non solo il capezzolo sullo schermo ma di comprendere che la
differenza sta nel valore aggiunto, nel messaggio, nella storicità,
nell'espressione del talento e della creatività artistica che rende
la specie umana così unica...e che non tutto è solo e morbosamente
incentrato sulla sessualità fine a sé stessa.
Perché
invece non lasciare che si continui ad ammirare l'ingegno umano
dimostrato nelle varie forme d'arte che si sono susseguite nei
secoli...e magari dare maggior importanza alla censura di pagine
private e gruppi facebook che inneggiano all'odio razziale, alla
violenza verso chi è diverso o semplicemente non va a genio a
qualche imbecille limitato, ai ragazzi incitati al suicidio, alle
forme di espressione di ideali fascisti e nazisti e all'intolleranza
tra esseri umani? Perché tutelare e andar cauti nei confronti della
loro libertà di espressione...e non di quella dei grandi artisti del
passato e del presente che ci hanno insegnato che qualcosa di buono
effettivamente l'uomo la può anche creare?
Irene Marziali Francis (28 ottobre 2019)
2. Ragghianti, la censura e il caso "Non uccidere" di Autant Lara.
In
questo momento quello della censura non sembra argomento di
particolare attualità in Italia, salvo che nell'aspetto direi
permanente di autocensura costantemente esercitato nei media
da giornalisti embedded o da quanti altri hanno a che fare con
la preparazione e la diffusione delle notizie (di ogni genere).
D'altro canto la censura è uno dei pericoli incombenti sulla
democrazia perché essa è aggressivamente sostenuta da un ceto
politico autoreferenziale che da sempre va progettando soluzioni di
censura preventiva sulle acquisizioni di notizie di giustizia
(intercettazioni telefoniche, specialmente) in modo da rendere
l'opinione pubblica ignorante di qualsiasi informazione accertata e
non facilmente manipolabile.
Carlo
L. Ragghianti è stato poco coinvolto in prima persona, che io
sappia, su problemi attinenti direttamente la censura, contro
la quale - è bene ricordarlo – aveva svolto una intensa attività
durante la sua clandestinità (costituita da lettere e da
dattiloscritti battuti in più copie di programmi, notizie
dall'estero, propaganda specifica, ecc.) dagli anni universitari alla
liberazione dalla occupazione tedesca e del suo regime “Quisling”
fascista al Nord e al Centro del Paese (1930-1945).
Nel
1957 C.L.R. recensì il volume The Freedom to Read, Perspective
and Program (in: “Criterio”
n.8/9, 1957, pp. 723-725). Si trattava di un “rapporto”,
indirizzato alle istituzioni pubblicistiche e alle biblioteche degli
U.S.A., concernente lo stato dello sviluppo in azioni (di origine
politica e religiosa soprattutto) tendenti a limitare la libertà di
leggere.
Nel
1961 si verificò una virulenta campagna clerico-fascista (un anno
dopo Tambroni, Genova e Reggio Emilia) contro la diffusione nei
cinema del film Non uccidere di
Claude Autant-Lara. Proiettata alla Mostra del Cinema di Venezia, la
circolazione della pellicola fu proibita dalla Commissione di Censura
in Italia (in Francia pure, stante l'agonia della guerra di
indipendenza dell'Algeria, fino al 1963) a causa dell'argomento del
film: l'obiezione di coscienza al servizio militare di leva, per la
quale – ricordo – che allora ancora i Testimoni di Geova, per
es., venivano tutti incarcerati
per anni a Gaeta!
A
questo proposito Ragghianti presiedette un dibattito tenuto con una
affollata ed appassionata partecipazione di giovani (in prevalenza
studenti ma anche operai e lavoratori) alla storica Casa del Popolo
di Rifredi, di cui riproduco l'invito a stampa. In questa
manifestazione il film fu soltanto un punto di partenza per
stigmatizzare politicamente la persecuzione e pretendere il
riconoscimento giuridico all'obiezione.
In
relazione a questa censura
la rivista “Il Ponte” organizzò una inchiesta curata da
Fernaldo Di Gianmatteo il quale l'11 ottobre '61 scrive a R. che:
“gli farebbe molto piacere ricevere anche la sua risposta, tra
tutte particolarmente autorevole e meditata....su “Censura e
spettacolo in Italia”. Così a critici e studiosi fu inviato un
questionario, che riproduciamo, le cui risposte sarebbero state
pubblicate nella rivista: quelle di C.L.R. furono tre fitte pagine di
osservazioni e commenti. Ignoro se il testo di C.L. Ragghianti fu o
come fu pubblicato da quella rivista che non seguivo ritenendola
settaria. Di conseguenza, a chi può interessare, penso che non sarà
difficile una verifica data la diffusione dell'organo.
Leggendo le risposte al Questionario di Ragghianti si ha subito l'impressione che in questo testo vengano
considerati e approfonditi argomenti successivamente sviluppati in Traversata di un trentennio (1979; vedere nel blog i post della ristampa del libro dal 31 novembre 2017 al 13 agosto 2018). Soprattutto alcuni punti anticipano la dimostrazione nel libro che alcune parti della nostra Costituzione non sono state attuate né nel 1961, né nel 1979, né – purtroppo – lo sono tuttora. Disgraziatamente in tutte le proposte di revisione costituzionale fin qui presentate – oltre alle autentiche aberrazioni e palesi involuzioni democratiche renziane respinte con referendum popolare – gli articoli inattuati rimangono tali o non sono considerati coerenti con la struttura del futuro Stato ipotizzato dopo l'esperienza fascista. Importante è poi la risposta al punto (2), con le debite distinzioni tra il piano strettamente giuridico e quello prassista del “comune sentimento morale”. Particolarmente importante mi sembra il penultimo paragrafo della lettera che dimostra perché la censura “è, sempre, una vergogna e una sciocchezza”.
Collego
a queste poche notizie ragghiantiane sull'argomento il saggio Critica
e censura (“Critica d'Arte”,
n. 64, sett.-ott. 1964) di Vittorio Stella un “filosofo” crociano
con cui C.L.R. ritengo ha, mi vien da dire invano, tentato di
ottenere per “Critica d'Arte” e altre opportunità culturali come
l'U.I.A. di Firenze collaborazioni e interventi depurati del “gergo”
filosofico, perciò leggibili e comprensibili anche da parte delle
persone colte non specialiste. In questo caso si svolge
essenzialmente una polemica con Rosario Assunto, anch'egli filosofo
professionista, sempre con riferimenti all'inchiesta de “Il Ponte”.
Non solo perché ovviamente lo scritto è stato pubblicato con
l'approvazione di C.L.R., ritengo che esso abbia valida relazione con
l'argomento e importanza non solo documentaria ma formativa anche
oggi perché si dibatte sul concetto che la questione della censura
è essenzialmente un problema di libertà, un problema etico. Devo
però ammettere che quando lo lessi feci una certa fatica perché
rallentato dal linguaggio esoterico per specialisti, i quali si
eccitano con parole come axiologia,
invece di pensare al lettore utente e dire semplicemente “filosofia
dei valori, divisibile in due rami: etica ed estetica”. Purtroppo
anche C.L.R. talvolta non è esente da questa pratica quando – ad
es. - proprio nella sua lettera sulla censura nella penultima riga
spara pornopsia
(sembrerebbe un neologismo!) forse perché un po' seccato di essere
costretto per dovere civico a collaborare con una testata di cui non
apprezzava alcuni importanti collaboratori.
Quello dell'abuso del linguaggio
specialistico diviene vizio, e quindi colpa, con ricadute sociali non
indifferenti ma gravi perché ha portato una buona parte dei lettori
di oggi (ognuno dei quali in democrazia ha diritto di voto) a
disprezzare i “professoroni”, facendo il gioco dei mestatori che
inducono i cittadini a cadere nelle fauci spalancate dei demagoghi
salvinei. Certo ha ragione Benedetto Croce a sostenere che concetti
complicati non si possono esprimere in “parole povere”. Però non
si debbono nemmeno esprimere in termini iniziatici, esclusivi,
castali. Altrimenti – se ben ricordo lo scrive anche Gramsci –
quale sia l'organizzazione sociale umana, la reazione sarà di
brutale semplificazione... a danno di quegli “intellettuali”
scollegati da parte di coloro che non possono essere intellettuali,
né detentori del sapere perché esso è stato reso
incomprensibile alla massa, per la quale si dovrebbe invece
tramitarlo in termini intelleggibili al fine della sua partecipazione
alla gestione del bene comune.
F.R. (24 giugno 2019)
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