Carlo e Licia

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lunedì 30 settembre 2019
venerdì 27 settembre 2019
Bendetto Croce, 1 - La scoperta della liberta'.
Bonetti e il suo pensiero su Croce.
La
recente postazione di Partito d'Azione e il riscatto civile della
nuova Italia (3 agosto 2019), mi
ha fatto reincontrare una tematica politica e storiografica
sostanzialmente tenuta ai margini dei prevalenti interessi effettivi
nel Paese, ed insieme rammentare la enorme figura di Benedetto Croce,
accantonata, per non dire rimossa, il giorno della sua morte nel
novembre 1952. Però il pensiero del filosofo è da allora planante
sulla cultura internazionale ed italiana in modo inespresso ma
incombente. Se tuttora piuttosto marginale in mezzo ai filosofemi
arretrati e confusi, le idee di Benedetto Croce sono limitate nella
conoscenza anche a causa della modesta capacità di diffusione, di
analisi, di critica e di sviluppo dei suoi esegeti, puntuali ma
ripetitivi (e non sempre esplicativi), generalmente non innovativi e
spesso politicamente ambigui (ad es.: confondere il liberalismo con
l'autocrazia e il libertinismo di un Berlusconi!). Perciò
ho pensato di postare testi rievocativi dell'opera o sull'opera del
filosofo di Pescasseroli, sia pure alla rinfusa, perché possano
essere se non altro un minuscolo incentivo di approfondimento, di
riflessione e di indirizzo nello studio del pensiero – vasto ed
appassionante – che, proprio secondo i dettami del Filosofo,
contiene in sé gli elementi e gli stimoli per interpretazioni
aggiuntive o innovative, così come ha fatto, per esempio, per tutta
la sua vita Carlo L. Ragghianti. Egli infatti sovente si è espresso
con intuizioni e dimostrazioni originali, talora profetiche ma non
del tutto comprese, talora impostate in palese attesa di
vivificazione dialettica, di rigoroso “superamento”.
F.R. (30 luglio 2019)
martedì 24 settembre 2019
Alois Riegl: Arte tardoromana, 1.
La
decisione di rendere pubblica e gratuita la traduzione e la curatela
scientifica di Arte tardoromana del
grande storico dell'arte della rinomata Scuola Viennese Alois Riegl
(1858-1905) è stata in buona parte determinata da un precedente
tentativo di pubblicazione non portato a termine dall'editore che si
era proposto di ristampare l'opera. Qualche anno fa, infatti,
l'editore Abscondita – dopo aver appurato che i diritti erano
scaduti – ci chiese di poter utilizzare senza modificazioni il
lavoro di Licia Collobi per una loro riproposta di Arte
tardoromana. Ricordo (dato che
non ritrovo l'incartamento e non mi pare il caso di perdere tempo)
soltanto ma chiaramente che agevolammo questo editore fornendogli
gratuitamente i materiali occorrenti. Dopo qualche tempo, senza dare
spiegazioni, l'editore rinunciò all'impresa. Comunque la nostra
attenzione era stata suscitata e il nostro riscontro ci aveva
convinto della piena validità del libro e della curatela di Licia
Collobi nonostante fosse trascorso oltre mezzo secolo dalla edizione
cartacea.
Facendo
gli abituali controlli constato inoltre la consueta “puttanata”
in Wikipedia, organo che si presta ad essere tramite di propaganda
tendenziosa di bande organizzate anche in campo culturale. In questo
caso Arte tardoromana –
pubblicato nei “saggi” Einaudi – nella voce Alois Riegl viene
indicato come ristampa (non
titolo modificato, diverso) dell'edizione Sansoni 1953, i cui limiti
critici e metodologici sono indicati da Licia Collobi nella sua
versione (terminata nel 1952 o prima, pubblicata nel 1959). Questo
ennesimo tentativo di inficiare l'originalità e l'importanza della
attività culturale dei miei genitori mi indigna e, nel contempo,
rafforza il convincimento che sia utile e opportuno riproporre su
Internet le loro opere nella veste originale, in modo da non poter
dare adito a distorsioni.
L'Arte tardoromana, cardine del pensiero di Alois Riegl, venne tradotto dal tedesco in italiano da Licia Collobi su indicazione del marito Carlo L. Ragghianti. Sempre su la di lui promozione il libro venne edito da Einaudi nella sua “mitica”collana “Saggi” la quale pur declinando in quegli anni verso una deriva di recupero della Kultur gemanica e di appiattimento a fenomeni di moda, ha rappresentato uno dei punti di riferimento duraturo della italianità istruita (sia pur numericamente modesta), soprattutto quella orientata a sinistra. Che l'opera del Riegl rappresentasse un “fiore all'occhiello” anche per l'editore fu testimoniato dal fatto che nel 1953 per la messa a punto finale presso la curatrice del libro a Firenze fosse inviato niente meno che il braccio destro di Giulio Einaudi, il nobiluomo Giulio Bollati di Saint Pierre, più tardi editore in proprio rilevando la casa editrice Boringhieri, cui associò il proprio cognome.
L'Arte tardoromana, cardine del pensiero di Alois Riegl, venne tradotto dal tedesco in italiano da Licia Collobi su indicazione del marito Carlo L. Ragghianti. Sempre su la di lui promozione il libro venne edito da Einaudi nella sua “mitica”collana “Saggi” la quale pur declinando in quegli anni verso una deriva di recupero della Kultur gemanica e di appiattimento a fenomeni di moda, ha rappresentato uno dei punti di riferimento duraturo della italianità istruita (sia pur numericamente modesta), soprattutto quella orientata a sinistra. Che l'opera del Riegl rappresentasse un “fiore all'occhiello” anche per l'editore fu testimoniato dal fatto che nel 1953 per la messa a punto finale presso la curatrice del libro a Firenze fosse inviato niente meno che il braccio destro di Giulio Einaudi, il nobiluomo Giulio Bollati di Saint Pierre, più tardi editore in proprio rilevando la casa editrice Boringhieri, cui associò il proprio cognome.
Una
parentesi: ricordo vivamente Bollati, un giovanottone alto ma
robusto, timido nonostante l'evidente appartenenza al top
sociale. Forse era un po' a disagio, lì nel luminoso studio della
mamma in viale Petrarca, anche perché la sua missione comportava la
richiesta di dilazione del pagamento dei diritti d'autore di Cinema
arte figurativa a C.L.R., e in
via subordinata l'acquisto di libri Einaudi scontati in luogo di
parte dei suddetti diritti d'autore. L'aspetto riguardante i libri fu
accettato da mia madre, la quale pensava soprattutto a me che
avevo letto e leggevo molto ma libri della
Biblioteca Vieusseux, senza avere uno scaffale proprio, come ella
riteneva giusto e necessario; inoltre anche lei soffriva un po' per
la carenza in casa di classici, dovuto alle perdite e sottrazioni
belliche, e poi alle ristrettezze economiche del dopoguerra,
piuttosto gravose ed evidenti, che ancora ricordo con apprensione e
afflizione. Per questi motivi fui chiamato dalla mia stanza nel
seminterrato, lugubre e spoglia, per poter contribuire a scegliere
nel catalogo ricco e affascinante della Einaudi. Mamma ed io
soprattutto classici dei “millenni” (stupendo Ariosto, Boccaccio
ecc.), babbo ed io - più che altro presenziante – storici,
filosofi (Storia della rivoluzione russa del Carr,
Cassirer, Omodeo ecc.). Un'infornata culturale di cui ancora c'è una
traccia in casa e alla Fondazione di Lucca. Per me fu una goduria,
raramente poi ripetuta, quel tuffo da zio Paperone tra quei tanti e
tanti libri importanti, eleganti persino, data la grafica di Albe
Steiner, ben noto ma non troppo apprezzato da R.
Non
molto dopo, non so se inopinatamente, l'editore fiorentino Sansoni
nel 1953 pubblicò con il titolo Industria artistica tardoromana
una edizione identica nell'illustrazione e nel testo a quella
viennese del 1927, non curata dall' autore, morto ventidue anni
prima, tradotta da Bruna Forlati Tamaro e da M.T. Ronga Leoni, con
una lunga introduzione di Sergio Bettini. Einaudi ritenne di
conseguenza la propria iniziativa “bruciata” e quindi sospese
l'edizione in vista di tempi migliori. Personalmente temo che non
fosse estranea alla decisione dell'umbratile editore l'opposizione –
velata ma tenace – della parte della sua redazione appiattita sulle
Panowskererie e Warburgarismi vari, la quale non amava l'impostazione
della Introduzione di Licia Collobi. D'altra parte il nucleo
“storico” e storicista della redazione era in via di
smantellamento dopo il suicidio di Cesare Pavese, l'allontanamento di
Vittorini, e poi Muscetta e altri, Italo Calvino ecc. vieppiù
emarginati.
Comunque nel 1959, Bollati redivivo pressò mia madre perché il libro venisse pubblicato al più presto. La curatrice di Arte tardoromana riprese in mano il materiale e lo aggiornò secondo i criteri di cui scrisse il 28 maggio 1959 a Bollati nei termini seguenti:
Comunque nel 1959, Bollati redivivo pressò mia madre perché il libro venisse pubblicato al più presto. La curatrice di Arte tardoromana riprese in mano il materiale e lo aggiornò secondo i criteri di cui scrisse il 28 maggio 1959 a Bollati nei termini seguenti:
domenica 22 settembre 2019
giovedì 19 settembre 2019
Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 3. - Umbro Apollonio (Nathan, Birolli).
Post Precedenti:
1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28 settembre 2018
Nato a
Trieste il 20 aprile 1911, morto a Bassano del Grappa il 22 aprile
1981, Umbro Apollonio dal 1949 al 1972 è stato dirigente
dell'Archivio Storico e Direttore della rivista della Biennale di
Venezia. Successivamente è stato docente di Storia dell'Arte
contemporanea presso l'Università di Padova.
Quando
incontrai per la prima volta Apollonio ero a Venezia con i genitori
nel settembre 1953 in premio dopo l'esame di riparazione in latino (o
in matematica?) della Terza Media. Ero momentaneamente stato affidato
al Bepi Mazzariol, col quale divenni subito amico grazie al suo
savoir faire anche con i
bambini. Di Apollonio mi divertì molto l'aspetto un po' clownesco,
cioè inelegante, mesto, col naso grosso venato di rosso: poi mi
venne in mente umbratile, gioco di parole tipicamente
preadolescenziale. In effetti schivo, introverso, solitario perché
scansato e malfidato, cioè ombroso, umbratile appunto (leggevo
molto) lo era certamente come ebbi modo di constatare in quei tre
giorni di permanenza.
Di
questo studioso, oltre al poco scritto nel post del 29 maggio 2019,
posso soltanto aggiungere alcune osservazioni derivanti dalla
corrispondenza con Carlo L. Ragghianti la quale, non a caso
interrotta agli inizi degli anni '60 (cioè quando R. si interessò
alla Biennale solo giuridicamente e statutariamente), anche se la
frequentazione –
domenica 15 settembre 2019
Don Raffaele Bensi.
Facendo
una cernita di immagini riguardanti Carlo L. Ragghianti e la famiglia
da consegnare all'editore Polistampa per un libro e catalogo
rievocativo dello studioso e del patriota (a cura di Antonio Natali
e Adriano Bimbi, coadiuvati da Rodolfo Ceccotti) ho rivisto la
fotografia di C.L.R. con Giorgio La Pira, i libri alluvionati del
Vieusseux, me ed altri nel loggiato del piano terra di Palazzo
Strozzi. Questa immagine mi ha, tra altri pensieri, imposto la
considerazione che in vita mia ho anche conosciuto (più volte,
seppur sempre per lavoro o formalità) un santo della religione
cattolica. Anzi, forse due, ho pensato quando mi sono ricordato di
don Raffaele Bensi, del quale nel 1997 avevo letto essere iniziato il
percorso di canonizzazione e sul quale avevo anche scritto un
Dramatis personae.
Dalla
voce di Wikipedia aggiornata ad oggi, al solito lacunosa e stocastica
nelle notizie, vedo che non si fa nessun accenno a questo processo di
canonizzazione, nemmeno per dire se è terminato negativamente.
Non
che la cosa abbia particolare importanza, anzi, però la scheda del
Dramatis personae ha un certo rilievo nella mia sofferta
formazione adolescenziale. Perciò mi pare opportuno comunque
postare, senza variazioni, il testo. Ciò anche in considerazione del
ricordo di quegli “strani” cattolici sociali (penso ad es. a Dino
Pieraccioni, che fu mio aio per la maturità privatista di latino e
greco) come don Bensi che hanno avuto un ruolo di rilievo nella
storia sociale della città di Firenze, ancora vitale, oggi
dimenticato.
F.R. (13
marzo 2019)
mercoledì 11 settembre 2019
Su estetici veleni accademici. Ragghianti sostiene il diritto di Eco (1968).
Questa breve
ma intensa ed importante corrispondenza tra Umberto Segre e Carlo L.
Ragghianti è illuminante circa il malcostume imperante (da sempre)
nel mondo universitario. Confortano la equità e la magnanimità di
mio padre – cosa su cui non avevo peraltro dubbi – e l'equilibrio
di Segre tra le ragioni dell'amicizia personale e la possibile
difformità di motivi di studio e scientifici.
Non fa una
bella figura Luigi Pareyson (1918-1981) sostanzialmente studioso di
calibro modesto nei confronti dei citati Enzo Paci (1911-1976) e
Guido Morpurgo Tagliabue (1907-1997), una delle persone più
viscide e odiose che mi è capitato di conoscere. Il giovane Vattimo
(n. 1936) qui si trova “debole”, in veste di carnefice e vittima
del sistema.
Personalmente
nella lettera di C.L.R. ho molto apprezzato le considerazioni sui
meccanismi di cooptazione universitaria e sulla mentalità
“guerresca” dei docenti (una delle ragioni per cui fin da ragazzo
mi preclusi l'insegnamento superiore come obiettivo di vita). Nel
complesso mi sono, in verità, molto divertito, con un solo attimo di
incertezza cognitiva davanti al termine criadi,
il quale dopo riscontro risulta essere parola spagnola che nel
significato primario indica domestici, servitori.
Umberto
Segre (1908-1969), giornalista politico e professore universitario
era amico caro e piuttosto vicino a Carlo L. Ragghianti fin dai tempi
di “Pietre” (vedere sul blog il post del 13 gennaio 2018). Non si
conobbero nella Scuola Normale di Pisa perché Umberto Segre fu
arrestato come antifascista di “Giovane Italia” (1928), mentre
R.
matricola fu edotto della sua esistenza e consistenza politica da Aldo Capitini, Delio Cantimori e altri normalisti. Politicamente
i due corrispondenti furono sempre concordemente schierati sulle stesse
posizioni: Giustizia e Libertà, socialismo liberale di Carlo
Rosselli, Partito d'Azione, Movimento Repubblicano democratico con
Parri e La Malfa. Anche come giornalista (che lo vede tra i fondatori
de “Il Giorno” nel 1956) fu sempre in sintonia con la
pubblicistica laica e democratica. Come insegnante di Sociologia a
Trento egli non fu certo uno dei responsabili della formazione
eversiva di Renato Curcio e compagnia sparante. Morì improvvisamente
a Milano il 13 dicembre 1969, il giorno dopo l'attentato fascista di
piazza Fontana.
I
rapporti tra Umberto Eco e Ragghianti sono stati praticamente
inesistenti : questo scambio epistolare con Segre è l'unica
manifestazione esplicita che io conosca di interessamento ad Eco e al
suo lavoro da parte di mio padre. Certamente ne ha accennato – non
positivamente – conversando ed insegnando, però senza acrimonia; e
del DAMS pensava a un'occasione perduta per dare una nuova e più
stimolante e articolata proposta accademica per lo studio di tutte le
arti.
Concludo
con un aneddoto: di fronte alla mia ammirazione con (1980) punte di
entusiasmo per il romanzo “Il nome della rosa” e alla pacata ma
decisa lode di mia madre, C.L.R. lesse finalmente il libro. Almeno con me non
si pronunziò, però non fece nemmeno critiche o riserve di metodo.
F.R.
(24 maggio 2019)
lunedì 9 settembre 2019
Enrico Moratti su "Critica della forma", 2.
Il ponderoso saggio di Enrico Moratti, co-protagonista
di questo post, facendo seguito a quello postato il 20 luglio 2019,
conclude la approfondita riflessione del Moratti su quest'opera, che
Ragghianti considerava molto importante.
Pubblicato soltanto dopo il
giugno 1986 a causa di difficoltà editoriali di “Tempo presente”,
il saggio è preceduto da una lettera di Moratti (18 giugno) che
informa e giustifica il ritardo della rivista. Di seguito si pubblica
la risposta manoscritta (6 pp. del 20 giugno) di Carlo L. Ragghianti
(di cui a lato mostriamo la riproduzione della prima pagina), che
abbiamo trascritto, considerando la sua importanza, per agevolarne la
lettura.
A nostro avviso questa lettera capitale di C.L.R., con
lo studio di M. e magari quanto postato in precedenza (30 luglio
2019), ripeto, hanno particolare rilievo circa il pensiero di
Ragghianti e per le considerazioni su Benedetto Croce. Si ritiene,
perciò, che meriterebbero ben altra diffusione e autorevolezza di
pubblicazione, affinché possano avere la risonanza che meritano.
venerdì 6 settembre 2019
martedì 3 settembre 2019
Una lotta nel suo corso, 6.
Appendice II – Persone, pp.319-356
Post precedenti:
3 dicembre 2018 – 1. Introduzione; Prefazione; Nota Editoriale; Lotta nel suo corso, pp.3-66.
8 gennaio 2019 – Intermezzo prima parte, pp.67-126.
3 marzo 2019 – Intermezzo seconda parte, pp.127-192.
3 aprile 2019 – Intermezzo terza parte, pp.192-265.
3 maggio 2019 – Appendice I - Fatti e documenti, pp. 267-318.
Quel
che temevo che prima o poi si avverasse a causa della labilità della
mia memoria è accaduto: con la quinta postazione ho considerato
completata la riproposta integrale di Una lotta nel suo corso.
Invece, controllando vedo che
erano previste altre due “puntate” della riedizione del libro e
in progettazione almeno un'altra di documentazione inerente.
Ancora
scusandomi con i lettori, in questo post pubblichiamo in un'unica
soluzione quanto testo mancante alla completa riproposta di Una
lotta nel suo corso. Quanto alle
monografie biografiche di Licia Collobi e Sandrino Contini Bonacossi,
curatori del libro, i quali per un eccesso di modestia non inserirono
nella sezione “Persone” le proprie biografie
belliche,
rimandiamo per il
momento
alla voce “Wikipedia” per Sandrino e al libro I
coetanei di Elsa De Giorgi,
mentre per Licia ricordiamo il profilo biografico di Rosetta
Ragghianti nel blog il 3 novembre 2016, anche se le vicissitudini
belliche sono soltanto accennate. Per quanto riguarda invece Carlo
L. Ragghianti, la voce presente in Una lotta può
essere integrata con il post I Ragghianti partigiani
combattenti del 18 marzo 2019.
Quando
eventualmente avremo preparato altri contributi inerenti Una
lotta nel suo corso e dati
sufficienti a postare notizie più specifiche e circostanziate su i
due curatori, posteremo una apposita settima parte di quest'opera.
F.R.
(24 agosto 2019)
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