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da "SeleArte", n.21, nov.-dic. 1955. |
Il testo precedente di
carattere pedagogico e di tecnica metodologica sullo studio dell'arte
potrebbe essere considerato “datato”, perché sessantatré anni
di didattica e sperimentazione hanno sviluppato approcci parzialmente
innovativi, considerando se non altro nuove – talvolta
rivoluzionare (Internet, ad es.) – applicazioni tecniche. Invece lo
è soltanto in modo parziale e circoscritto, e per certi versi
risulta tuttora valido, soprattutto considerando quello che sta
avvenendo negli Stati Uniti. In questa enorme e tutto sommato
leaderistica Federazione, infatti, si è cominciato a smantellare le
basi pedagogiche, derivate da Piaget e da John Dewey, dissolvendo un
sistema secondo il quale per la formazione intellettuale degli
allievi sono fondamentali modi e attività ricreative e creative onde
sviluppare la loro potenzialità al meglio, il più completamente
possibile. Già prima dello sconsiderato Trump e di tutto ciò che ne
consegue, oggi cresce la tendenza ad abolire nella scuola la pausa di
ricreazione (anche per i bambini!) per non sottrarre tempo allo
studio in un'ottica della formazione di una più spiccata mentalità
competitiva. Non mi addentro nelle conseguenze, osservo soltanto che
in un mondo che cerca disperatamente di inventare attività (o
reintrodurre mestieri
dismessi perché poco produttivi) allo scopo di ovviare, o almeno attenuare la disoccupazione dilagante, è sbagliato contrarre la
creatività di bambini e giovani perché significa sottrargli gli
strumenti necessari (cioè la marcia in più dell'inventiva creativa)
per risolvere in futuro i problemi, non solo personali ma anche della
società stessa.
Comunque sulla base delle
considerazioni iniziali mi sento di poter affermare che da questa
panoramica pubblicata nel 1955 si deduce un'analisi accurata, tesa ad
indicare come procedere al meglio per rinnovare gli allora già
vetusti metodi di insegnamento. Inoltre mi sento di poter affermare
che da questa lettura si possono ancor oggi trarre spunti teorici e
pratici per migliorare in Italia il delicato aspetto della creazione
di cultura nella scuola d'ogni ordine e grado, martoriata soprattutto
a livello liceale, con evidenti ripercussioni su quello
universitario. Per quel che riguarda Carlo L. Ragghianti era da
sempre attento (vedere i post del 21.5.2017; 7.8.2017; 6.12.2017 e
7.2.2018) – data la sua primaria vocazione di insegnante – oltre
che alla pedagogia e alla metodologia concettuale rappresentate dalle
numerose tecniche collaterali e di carattere strumentale, che egli
considerava non marginali né secondarie.
F.R.
Addendum
(da "SeleArte", n.23, 1956, pp.40-41)
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