Cinquant'anni
or sono Carlo L. Ragghianti subì l'ennesima gratuita e insolitamente
grave aggressione mediatica originata dalla solita matrice. In questa
occasione – però – c'erano evidenti erroneità e menzogne che
davano adito a ricorrere alla magistratura per poter tutelare la
propria estraneità a quanto addebitato falsamente. Documentiamo
questo grave episodio di malcostume accademico e intellettuale, qui di
seguito, con la riproduzione del rendiconto finale, che fu pubblicato
in “Critica d'Arte”, n.90, novembre 1967.
Per C.L.R.
la propria integrità morale, coniugata all'onestà, erano elementi
portanti della costruzione etica di se stesso (e dell'esempio da dare
agli altri) ed erano – guarda caso – i più evidenti tratti
distintivi dello studioso lucchese nei confronti di tanti colleghi
storici dell'arte, di tanti intellettuali, di tanti artisti, di tanti
politici d'ogni schieramento, di tante persone che era inevitabile
incontrare. Altro importante tratto distintivo era ovviamente,
l'orientamento singolare ed innovativo della sua metodologia di
analisi e di ricerca storico-critica. Queste qualità scientifiche,
naturalmente, non possono essere pretese come accettazione
aprioristica dagli altri addetti, soprattutto quando costoro
differiscono in buona fede. Tanto meno può essere richiesta
l'adesione a principi e metodi da parte di chi, per i più disparati
e leciti motivi, ha avuto una formazione differente o insufficiente
quando gestita senza fideismi identitari o settari.
E' però
opportuno riportare oggi la verità di quei fatti e sottolineare
l'accettazione del responsabile di questa inusitata aggressione e del
di lui riconoscimento della propria fallacia. Tutto questo ha una
certa attualità perché anche recentemente – su “La Repubblica”
- un noto giovane ordinario di Storia dell'Arte ha trovato, in un
contesto non inerente, il modo di citare questa calunnia e di
offendere la memoria di Ragghianti, quasi che egli fosse stato l'aggressore anziché l'aggredito. L'occasione dà adito di ricordare l'Eugenio Luporini fino allora e di allora, vale a dire una sorta di gemello di R., un Polluce nella realizzazione dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa,
poi cattedratico (anche per l'indefesso sostegno di R.) a
Genova ma ansioso di ritornare alla sede iniziale del suo percorso di
studioso. Eugenio, non solo per mio padre, era più di un amico, per
me era un fratello maggiore, consentaneo persino in politica, data la
comune – e critica – adesione al P.S.I.. Nel 1967, checché ne
abbiano detto in precedenza comuni amici, fu sua l'iniziativa di un
pubblico Appello in difesa di Carlo Ludovico R. e di
coinvolgere per la pubblicizzazione un organo terzo come
“L'Astrolabio” di Ferruccio Parri. Suo, e qui sono ancora come
testimone diretto a smentire le bubbole blaterate – a posteriori –
persino da Alfredo Righi (in vero sovente sconsideratamente
pettegolo) che Ragghianti fosse l'ispiratore dell'Appello e
Luporini il braccio esecutivo. Non è vero, semplicemente. D'altra
parte chi conosceva o conobbe mio padre non può non riconoscergli
che tra le doti del suo difficile carattere c'era quella di
affrontare sempre (e quasi sempre da solo) le avverse circostanze
personali, senza preventivamente coinvolgere altri, tanto meno
manipolarli.
Purtroppo
per chi concepisce la vita come lotta di potere, di
prevaricazione sugli altri, invece la passione fine a se stessa, il
dovere come motore etico della propria esistenza, sono comportamenti
e sentimenti incomprensibili. E per molti, i più sembrerebbe –
soprattutto in politica – sono virtù che vanno estirpate.
Sta di
fatto, e non ho mai capito come e perché (anche se sospetto non
possa essere estranea al suo cambiamento la concomitanza in
Università a Genova di Enrico Fenzi – allora ancora “estremista”
soltanto – e che so per certo fu “cattivo maestro” del mio
povero amico Giovanni Francovich) Eugenio Luporini tornò a Pisa
radicalizzato politicamente, cambiato nel carattere e – con nostra
infinita tristezza – ostile a Ragghianti con tanta acrimonia,
quella propria che in un fanatizzato religioso si scatena per
cancellare i propri passati convincimenti e sentimenti, anche quelli
etici e affettivi.
F.R. (22.11.2017)

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