Il sommario
di questo sesto ed ultimo post della serie Giotto 2017
comincia riproponendo l'importante saggio Colui che tutto mosse:
Giotto a Padova, 1303-1309 che viene riprodotto dal volume
Stefano da Ferrara (Critica d'Arte Edizioni, Firenze 1972) nel
quale esso fu riversato con varianti dall'elegante edizione di Gli
Affreschi di Casa Minerbi (Istituto Casse di Risparmio Italiane,
Roma 1970). Successivamente Ragghianti lo inglobò nel volume Arte
a Ferrara tra Giotto e Pisanello (Corbo editore, Ferrara 1987)
con l'aggiunta di un breve testo e quella di una nota, che qui
riportiamo. Mi pare opportuno sottolineare che nello scritto
introduttivo al libro (in entrambe le edizioni) titolato
Recapitolazione (p.7-9) a seguito dei suoi precedenti studi su
il Palazzo della Ragione (1964), su Brunelleschi e sul problema della
prospettiva, la consapevolezza acquisita “spinse la mia indagine in
due direzioni: verso Giotto, la sua attività padovana, l'espansione
veneta, trentina e padana del suo linguaggio coi suoi sostrati
intellettuali, pervenendo a una precisa e direi non revocabile
datazione del suo tanto controverso lavoro padovano in relazione con
quello precedente oggetto di altro organico saggio (Percorso di
Giotto)...”.
Questa
rassegna prosegue con il saggio Giotto neoplatonico da
“Critica d'Arte” (n. 154/156, 1977, pp. 220-222), ripubblicato
nel 1983 nel libro Santa Croce (pp. 235-240, Nardini editore
per Banca Toscana, Firenze). Al testo, in “Critica d'Arte”, segue
un Appunto per Ornella Casazza (pp. 222-224) di carattere
metodologico circa il Polittico giottesco di Santa Croce. In
questo denso saggio C.L.R. dimostra che per l'artista non c'è
contraddizione tra autografia e convinzione mentale che il “valore
dell'opera consiste nell'idea, non nel fare, nella concezione,
e non nella fattura tecnica”.
Con un
titolo roboante apposto dalla redazione del giornale, la serie di
scritti giotteschi prosegue con Sono sicuro è un Giotto (“La
Nazione”, Firenze, 28 settembre 1980, p.3). In questo articolo si
analizza la Croce della Chiesa di S. Andrea a Spello,
concludendo che “questa creazione di Spello si pone tra le storie
cristologiche e il ciclo francescano, quindi agli esordi
di Giotto” ed è illustrato da fotografie (mediocri) del 1970, cioè
prima del restauro. Chiude questa vicenda giottesca una (pessima)
fotocopia de “La Nazione” (25 ottobre 1980, p.3) che contiene la
lettera di risposta che Ragghianti rivolge agli studiosi perugini e
conclude l'argomento con “In parole più semplici ed accettabili,
io riconosco come Giotto delle Storie di Isacco quest'opera,
che gli studiosi umbri considerano come la più vicina, e unicamente
vicina, al Maestro”.
A questo
punto della sequenza giottesca, si sarebbe dovuto inserire
l'intervista di specifico argomento che Enzo Fabiani fece a C.L.R. e
pubblicò sul settimanale “Gente” del 7 maggio 1982, che
purtroppo non sono riuscito a trovare completa né nel nostro
Archivio né in quello della Fondazione di Lucca, dove è del tutto
assente, come cortesemente mi informa la dr.ssa Francesca Pozzi. Qui
in casa, in effetti, abbiamo la prima pagina di questa intervista che
comunque riproduco come documento, che così parziale e avulso
naturalmente non è molto significativo. Per precisione va detto che
le interviste di Fabiani (critico d'arte del settimanale nel quale
scriveva anche usando lo pseudonimo di Stefano Ghiberti) a Ragghianti
furono tre. La prima del 18 dicembre 1981 fu curiosamente titolata
Bastonato, tradito, arrestato//e poi mi hanno fatto capo del Governo;
dato l'argomento sarà oggetto di un post a sé stante in questo
blog.
Da notare che nella Bibliografia degli scritti, sciaguratamente redatta da un manipolo di sedicenti esperti cibernetici degli albori (1988-89) anche questo articolo è assente. Se continua così, un'eventuale 2a edizione sarà un grosso tomo, quasi doppio rispetto all'attuale! L'altra e seconda intervista, quella pubblicata senza indicazione della data (però 1982) nella suddetta Bibliografia, è intitolata Sdegnoso e sventurato Cimabue è comunque mancante della p. 173, e non contiene riferimenti giotteschi che valga la pena di riportare in questa sede. Casomai la prenderemo in considerazione in un eventuale post cimabuesco. Sembra incredibile ma di questi settimanali – spesso allora con tirature di centinaia di migliaia di esemplari – non è facile reperire i fascicoli, e quando sono individuati sono conservati soltanto in alcune biblioteche e in genere sono rilegati in grossi tomi, cosicché fotocopie e fotografie leggibili non sono ottenibili facilmente. D'altra parte non amo molto le biblioteche pubbliche e alla mia età non vado certo in giro per entrarvi. Non in sostituzione ma, dato l'argomento, completamento necessario è l'articolo che ho rinvenuto nel nostro Archivio (sorta di disordinata grotta di materiali eclettici però anche importanti e comunque documenti non spregevoli, destinati – temo – a dispersioni sciagurate e distruzioni irresponsabili). Giotto, Gesù e noi è il titolo (si ricordi che nei giornali lo affibbia la redazione) di un articolo nel quale Ragghianti recensisce la storia tramandata dai Vangeli della vita del Cristo scritta da Gina Lagorio e pubblicato ne “La Nazione” (11 maggio 1982) quattro giorni dopo l'uscita di “Gente”. Questa
nota scrittrice, donna colta, intelligente e bella, era divenuta una
amica di famiglia in occasione delle ricerche per la monografia che
C.L.R. dedicò all'arte di Renata Cuneo (Editoriale
Baglioni e Berner, Firenze 1981). Purtroppo la qualità della
fotocopia di cui dispongo è penosa ma leggibile e farlo – stanti i
contenuti – è uno sforzo che vale la pena di affrontare. Non
potendo documentare con estratti da questa Storia di Gesù
(il libro è a Lucca), cito
l'affermazione di R. che “la composizione a bandiera del
testo...risponde a una prosa pausata”. Trovo altresì significativo
che lo storico lucchese scriva che “la scelta di iconografia è
sintomatica, perché Giotto non ha immesso nella serie delle sue
scene nessun elemento allegorico, simbolico o
mistico-teologico...ma...ha preferito una umanizzazione decisa e
totale”.
Due
documenti della costante attenzione di C.L.R. al “percorso” di
Giotto sono la sua lettera al medievalista ungherese di orientamento
longhiano Miklos Boskovits (1935-2011) nella quale chiede di
indicargli gli studiosi che “hanno anticipato come me la data di
nascita dell'artista fiorentino, volendo tornare sull'argomento”
(10 febbraio 1984). Il professore dell'Università Cattolica milanese
risponde (17 marzo 1984) fornendo i dati richiesti.
Chiude
questa rassegna giottesca degli scritti e documenti relativi al
Maestro di Vicchio – dove tre quarti della famiglia Ragghianti è
attualmente domiciliata – un denso e breve saggio (Giotto
compositore, “Critica d'Arte”,
IV serie n.2, 1984, pp. 74-75) nel quale C.L.R. recensisce una
ricerca dello storico dell'arte tedesco Max Imdahl (1925-1988) sul
ciclo padovano e iconografia-iconologia. In un certo qual modo Carlo
L. Ragghianti conclude così una sorta di esplorazione metodologica,
sentimentalmente circolare sull'attività di Giotto nel particolare
riguardo alla tettonica
già indagata, come tramite il Pešina
e recensita nel 1945. Nell'ultima frase del suo intervento R.
sostiene che quella dello Imdahl è comunque “un'indagine
stimolante e tale che si raccomanda all'esame e alla discussione”.
Mi
sembra opportuno ricordare a chiusura di questo post che sicuramente
tra i numerosi scritti dei coniugi Ragghianti ci sono altri accenni,
rimandi, considerazioni, riflessioni ed ipotesi riguardanti Giotto,
la sua scuola, l'importanza della sua opera nello sviluppo delle arti
figurative a lui contemporanee e soprattutto a lui posteriori. Questi
elementi, come già accennato nel post Giotto 2017,4 (15 ott. 2017),
sono parzialmente recuperabili tramite gli Indici dei volumi che li
contengono; mentre il rinvenimento di altri spunti richiede ricerche
specifiche e una cerca conoscenza preventiva delle opere in esame.
Assai verosimile è, anche, che dallo spoglio della corrispondenza
emergano dati interessanti al riguardo. Infine probabilmente esistono
anche scritti sull'argomento che non siamo riusciti a rivenire nella
nostra faticosa e tardiva rivisitazione dell'opera dei genitori.
F.R.
(8 novembre 2017)
P.S.
- Più che per la complessità della materia, mi pare necessario
riepilogare, con le relative date di postazione, i cinque post
precedenti questa sesta ricostruzione. Sono:
1.
GIOTTO 2017, 1 –
Presentazione del volume di Licia Collobi Ragghianti e Appendice
vicchiese.
2.
GIOTTO di Licia Collobi
Ragghianti, 2
3.
GIOTTO 2017, 3 – Appendice vicchiese
4. GIOTTO 2017, 4 – Carlo L. Ragghianti (1937-1966) / Giotto
Architetto
5.
GIOTTO 2017, 5 – Carlo L. Ragghianti: “Percorso di Giotto”.


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