Carlo e Licia

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lunedì 27 marzo 2017
venerdì 24 marzo 2017
mercoledì 22 marzo 2017
sabato 18 marzo 2017
Alberto Viani o Carlo Ludovico Ragghianti?
18
Marzo 2017
in
memoria di mio padre Carlo Ludovico che oggi compirebbe 107 anni.
E' ben nota
l'ammirazione per il patriota, la condivisione per l'esule e il
riconoscimento critico con promozione del suo metodo, derivato dagli
approfonditi studi su di lui, che C.L.Ragghianti ebbe nei confronti
di Giovan Battista Cavalcaselle, fino ad allora considerato da alcuni
una sorta di “macchina fotografica” dello “scrivano” Crowe.
Il saper disegnare non soltanto a scopo riproduttivo un'opera d'arte,
ma farlo anche con intenzioni interpretative del processo mentale e
analizzante di un artista non è stato fenomeno
inusuale.
Devo
premettere che mi sono sentito in obbligo di porre un po' d'ordine
nei materiali cartacei (comprendenti anche fotografie, fogli
disegnati e fogli incisi di proprietà di mia sorella Rosetta e
miei). Per quelli riguardanti le opere d'arte o i cimeli erano per lo
meno ormai vent'anni che non li prendevo in mano (di molti non avevo
più memoria). Ciò da quando - primi anni Novanta – avvenne la
dispersione del lascito dei genitori in seguito a non liete beghe
familiari. A queste revisioni documentarie è stato di pungolo il
dovere parentale di lasciare a nostra nipote, anziché un coacervo
indistinto di oggetti coi quali non ha dimestichezza, dei materiali
ordinati con le opportune indicazioni per comprenderne la qualità e
distinguerne le caratteristiche.
Così
facendo mi sono imbattuto, tra l'altro, in sette disegni riproducenti
opere di Alberto Viani, caro e illustre amico di famiglia, e come
scrive C.L.R. al figlio Simone Viani del
padre gravemente malato: “...tu sai quanto bene vogliamo ad Alberto
Viani che non è solo un grande artista, ma una rara personalità
morale ed umana (28.6.1984)”. Di questi disegni il primo (Fig. 1)
proviene da un taccuino di indirizzi e appunti di Ragghianti, gli
altri sei (Fig. 3-8) sono unificati dalla
notazione, sulla cartellina che li comprendeva intestata “Viani”,
di essere stati eseguiti nel luglio (per la
precisione VII) 1965. Purtroppo non ricordo assolutamente perché
decidessi di segnarli come disegnati “VII 1965”.
E “Viani”
sarebbero rimasti se non mi fosse venuto il dubbio che potessero
essere stati disegnati da due diverse mani, e che in una di essi si
potesse riconoscere lo stesso iter esplicativo che R. applicò per
una scultura di Emilio Greco, come si può riscontrare nel post “La
Grande Bagnante di Emilio Greco”, pubblicato nel novembre 2016 nel
blog “Ragghianti & Collobi”.
Siccome il
critico e lo scultore si incontravano sia a Firenze che a Venezia
(più spesso), con una frequenza annuale di almeno una visita quasi
sempre estiva, c'è da risolvere anche il quesito di dove avvenne
l'incontro nel quale i due interlocutori parlarono di queste sculture
del Maestro sia col linguaggio verbale che con quello disegnativo.
Mi sono
quindi trovato come un asino di Buridano attributivo, perciò
costretto a cercare d'uscire dallo stallo con metodica il più
possibile scientifica. Cioè riscontrare le fonti praticabili e
vicine, poi via via le altre opportunità documentarie. Quindi
procedere a controllare tra le fotografie e le riproduzioni delle
opere e tra i ritagli di stampa e gli opuscoli in
“Fototeca/Emeroteca”, tra le monografie e tra la cospicua
corrispondenza tra l'artista e il critico. E qui ho potuto chiudere
la ricerca avendo individuato una lettera (datata 23 settembre
1965) di Viani all'amico, in cui l'artista parla della sua opera
“Omaggio a Michelangelo” disegnata in uno dei fogli oggetto di
questa ricostruzione (Fig. 6). Letta e riletta, questa lettera mi ha
via via alleviato la perplessità di non poter risolvere il nodo
relativo al “luglio 1965”. Nel penultimo paragrafo, infatti, si
scrive esplicitamente di un incontro a Venezia, che in un primo
momento, pessimisticamente, avevo pensato fosse recente, addirittura
settembrino.
Però alcuni
fatti considerevoli facevano escludere questa ipotesi: 1) dagli
ultimi giorni di luglio ai primi di settembre la famiglia Ragghianti
(me escluso) era in villeggiatura in Sardegna; 2) a settembre C.L.R.
aveva molti e urgenti impegni in città, soprattutto in relazione
alla conclusione dell' “Arte in Italia” dell'Editore Casini, per
il quale io avevo lavorato tutto agosto a Firenze, il babbo tutto il
mese in Sardegna scritto in prima stesura
le parti conclusive. E tutto settembre fu un agitato periodo di prima
scrittura e revisione di R., prima dattilografia da parte della
copisteria e da parte mia; correzioni di R., nuova stesura
dattilografica ecc. Un periodo veramente stressante.
E Ragghianti
non fece viaggi a Venezia, né altrove.
Di
conseguenza più che plausibile risulta l'accessione in luglio di
C.L.R. a Venezia, città dove andava sempre volentieri per incontrare
gli amici come Viani in primis, poi Mazzariol, Scarpa, Santomaso,
Vedova talvolta, e diversi altri. Altre
ipotesi al riguardo appaiono insostenibili.
A questo
punto è opportuno analizzare con acribia questi disegni e tratte
conseguenze plausibili e convincenti circa l'autore di ciascuno di
essi.
giovedì 16 marzo 2017
mercoledì 15 marzo 2017
lunedì 13 marzo 2017
{Anna} Licia Collobi Ragghianti ... la mia mamma!
Sono passati già più di 27 anni ma, quando ci penso, mi sembra di trovarmi ancora nella sua camera a Villa La Costa (la grande casa sulle colline di Careggi, così ribattezzata dal babbo nel '55), mentre con tenerezza sfilo dalla sua mano inerte la fede nunziale, che darò a mia sorella perché è la maggiore, e la fedina ferma fede che le avevo regalato perché era così dimagrita che la perdeva, e che porto sempre al dito da allora.
Mi manca!
Quante cose avrei voluto poter condividere con lei, le mie scelte religiose, il mio matrimonio e soprattutto Irene, la mia bimba che ora è grande, e che tanto, ne sono certa, le sarebbe piaciuta e avrebbe sentito vicina e consona.
Mamma era una persona speciale. Nostra Signora della Costa. Così l'aveva chiamata Guido Biffoli, professore per professione e fotografo per passione; non so se con ironia affettuosa o no, ma appropriatamente! Perché questo, in sostanza, lei era.
Nostra perché era sempre disponibile per tutti, anche se occupata a "studiare" o "lavorare", chiusa nel suo studio al primo piano, attiguo alla camera da letto.
Signora.... lo era davvero, in ogni fibra del suo essere! Nel portamento, nei modi, nel parlare (mai ho sentito da lei una mala parola), ma soprattutto nel
Nostra perché era sempre disponibile per tutti, anche se occupata a "studiare" o "lavorare", chiusa nel suo studio al primo piano, attiguo alla camera da letto.
Signora.... lo era davvero, in ogni fibra del suo essere! Nel portamento, nei modi, nel parlare (mai ho sentito da lei una mala parola), ma soprattutto nel
pensare, nel suo essere più interiore. Riusciva ad essere a suo agio lei e a farci sentire chiunque, dal contadino (sono stati grandi amici, lei ed il nostro fittavolo Mario Strambi, avevano in comune, diceva lui, "le nostre parti", lei nata a Trieste e lui contadino toscano che aveva fatto il militare al nord, e spesso ragionavano di proverbi, di verdure, fiori, frutta e di cose profonde) e dai vari domestici (puntuale l'agnello per la cattolicissima Armidina che veniva il giorno di Pasqua e i cioccolatini "dimenticati" qua e là perché li potesse portare alle nipoti... e mangiarsene pure qualcuno) fino ai grandi politici (l'amicizia vera e disinteressata che le dimostrò Amintore Fanfani, essendo un sostegno sia concreto che emotivo per lei: ricordo quanto la commosse profondamente l'enorme mazzo di fiori che le inviò dopo la morte del babbo) o ai grandi artisti dell'epoca (si scoprì molto tempo dopo che Tono Zancanaro "capitava" ogni anno il giorno del suo compleanno, e lo storico dell'arte Aldo Bertini veniva apposta per "la squisita pasticceria" che mamma preparava per lui; e con le mogli dei vari artisti riusciva a stabilire una "amicizia" benché spesso le fossero antitetiche); per non parlare dell'accoglienza riservata agli "scolari" del babbo, sempre affettuosa e partecipe alle loro vite private ... anche se a volte non era d'accordo con le scelte del "Professore" come tutti lo chiamavano.
domenica 12 marzo 2017
{glossario} Un concetto di CULTURA 2
L'estratto che segue proviene dalla terzultima lettera (datata 21.12.1986, pubblicata in “SeleArte” IV serie, n. 15, 1992, pp. 88-90 in facsimile calligrafico) ad Emilio Greco ed è scritta con caratteri minuti ed ancora regolari da Carlo L. Ragghianti poco prima della lunga degenza e del decesso. Il critico si congeda dal
vecchio e caro amico scultore con considerazioni di particolare apprezzamento per la poeticità del suo operato, redigendo anche un'ulteriore, e forse finale, riflessione sul concetto di cultura che “illumina la verità della poesia e dell'arte”.
F.R.
giovedì 9 marzo 2017
{bacheca} IpoPolitica
Questo mio montaggio, pubblicato nel n.21, 1995 di “SeleArte”, non è qualunquista perché si riferisce ad un periodo storico in cui gran parte della classe politica e dei partiti tradizionali furono effettivamente travolti e spazzati via dallo sdegno popolare e dall'ordinaria amministrazione della Giusizia. Solo di lì a poco i lividi eredi degli epurati coniarono la nuova accezione del termine “Giustizionalista”, volendo così indicare una presunta volontà punitiva degli organi di giustizia, che – invece – non facevano che applicare ( a volte finalmente!) le norme di leggi vigenti.
Oggi questa vignetta è di nuovo d'attualità pervasiva ed incontestabile. Siamo ancora una
Oggi questa vignetta è di nuovo d'attualità pervasiva ed incontestabile. Siamo ancora una
volta a constatare sgomenti la corruzione morale della classe politica, la quale nella più irresponsabile e cinica strumentalizzazione tende soltanto all'acquisizione del consenso al fine di un “potere” logoro e, salvo il rubabile, inconsistente negli effettivi gangli che costituiscono le basi della società dei cittadini. Troppi dei quali accettano “di buon grado” di essere sempre più famuli da premiare con “bonus” selettivi sottratti alle reali necessità del consorzio umano che costituisce la nazione Italia. “Mala tempora currunt”, come sempre: però oggi con lo sfacelo prossimo dell'Europa, si apre un periodo imperscrutabile, assimilabile al dopo “Sarajevo 1914” e “Monaco 1938”.
Facciamo i debiti scongiuri.
Facciamo i debiti scongiuri.
F.R.
mercoledì 8 marzo 2017
lunedì 6 marzo 2017
Su Jacovitti e una sua vignetta profetica
Invece che ad una pubblicità, Jacovitti fa da 'testimonial', sia pure involontario, alla insufficienza di capacità di penetrazione e considerazione estetica (formale) nella 'semeiotica', 'lectio' echiana. Difatti, Umberto Eco si dilunga – su “l'Espresso”, 18/12/1997 – su una simpatica e partecipe riminescenza del vignettista, scomparso proprio in quei giorni.
Il contenuto della “bustina di Minerva” è utile lettura per la ricapitolazione delle tappe del lavoro di Jacovitti, però in pratica analisi e raffronti sono soltanto contenutistici ed esulano del tutto da ogni considerazione sulla qualità espressiva di quest'opera pluriennale. Sottolineare l' “horror vacui” di Jacovitti (ogni sua vignetta è zeppa di elementi anche estranei al contesto, pur di non lasciare spazi bianchi nella pagina) è osservazione ovvia – ciò si nota, anche troppo – e senza ulteriori approfondimenti essa non è granché indicativa ed esplicativa, salvo che sul piano psicologico dell'autore, cosa che in quel contesto è irrilevante dalla problematica.
Eco si rifà alla propria giovinezza e aderisce, come tutti gli adolescenti al contenuto del racconto, allo stile letterale valutato nel contesto delle pubblicazioni analoghe; non si pone, cioè, problemi in relazione alla formazione visiva dell'artista e alla ripercussione che essa può avere sul fruitore (parola orripilante, adatta qui). L'unico approccio ad una valutazione qualitativa del disegno viene fatta sul finale dell'articolo, là dove Eco si rammarica di aver abbandonato bruscamente lo stile di Jacovitti per quello di Saul Steinberg (che non è nemmeno opposto, è culturalmente totalmente estraneo) nelle vignette che il critico – dilettante confesso – suole disegnare e fumettare per (de)scrivere ad amici sue comunicazioni ed impressioni personali.
Curiosa è l'assenza, almeno per uno scrittore (e di vaglia) come Eco con interessi ed esperienze sia letterari che disegnativi, di ogni riferimento ed analisi al rapporto tra testo ed illustrazione da parte del medesimo autore. Infatti, se la sceneggiatura è di altri, l'artista deve darne una interpretazione secondo il proprio stile; ed il critico deve prendere in considerazione soltanto il disegno delle vignette (elogiando o deprecando, al massimo, la coerenza o l'incoerenza tra le due parti del fumetto). Ben diverso il caso di Jacovitti, il quale era anche autore dei testi: quindi il suo lavoro va analizzato riportandolo alla sua sola personalità artistica.
A titolo di doverosa informazione ricordo che Carlo L. Ragghianti – in genere poco indulgente con i 'fumettari', accusati di accademismo – il disegno di Jacovitti lo detestava.
Il contenuto della “bustina di Minerva” è utile lettura per la ricapitolazione delle tappe del lavoro di Jacovitti, però in pratica analisi e raffronti sono soltanto contenutistici ed esulano del tutto da ogni considerazione sulla qualità espressiva di quest'opera pluriennale. Sottolineare l' “horror vacui” di Jacovitti (ogni sua vignetta è zeppa di elementi anche estranei al contesto, pur di non lasciare spazi bianchi nella pagina) è osservazione ovvia – ciò si nota, anche troppo – e senza ulteriori approfondimenti essa non è granché indicativa ed esplicativa, salvo che sul piano psicologico dell'autore, cosa che in quel contesto è irrilevante dalla problematica.
Eco si rifà alla propria giovinezza e aderisce, come tutti gli adolescenti al contenuto del racconto, allo stile letterale valutato nel contesto delle pubblicazioni analoghe; non si pone, cioè, problemi in relazione alla formazione visiva dell'artista e alla ripercussione che essa può avere sul fruitore (parola orripilante, adatta qui). L'unico approccio ad una valutazione qualitativa del disegno viene fatta sul finale dell'articolo, là dove Eco si rammarica di aver abbandonato bruscamente lo stile di Jacovitti per quello di Saul Steinberg (che non è nemmeno opposto, è culturalmente totalmente estraneo) nelle vignette che il critico – dilettante confesso – suole disegnare e fumettare per (de)scrivere ad amici sue comunicazioni ed impressioni personali.
Curiosa è l'assenza, almeno per uno scrittore (e di vaglia) come Eco con interessi ed esperienze sia letterari che disegnativi, di ogni riferimento ed analisi al rapporto tra testo ed illustrazione da parte del medesimo autore. Infatti, se la sceneggiatura è di altri, l'artista deve darne una interpretazione secondo il proprio stile; ed il critico deve prendere in considerazione soltanto il disegno delle vignette (elogiando o deprecando, al massimo, la coerenza o l'incoerenza tra le due parti del fumetto). Ben diverso il caso di Jacovitti, il quale era anche autore dei testi: quindi il suo lavoro va analizzato riportandolo alla sua sola personalità artistica.
A titolo di doverosa informazione ricordo che Carlo L. Ragghianti – in genere poco indulgente con i 'fumettari', accusati di accademismo – il disegno di Jacovitti lo detestava.
Ebbe a conoscerlo, credo, tramite il mio Diario scolastico, e lo considerava volgare, elementare e, soprattutto, diseducativo (al di là dei contenuti propriamente letterari, destrorsi e 'qualunquisti') dal punto di vista estetico. Insomma fuorviante in rapporto all'utenza, cioè ai giovani in formazione, ovviamente anche della loro capacità critica della visione. Non mi disse altro – avevo 10 o 11 anni – però il rimprovero mi indusse a cercare lo scambio con un compagno di classe scontento del suo Diario. (Quello di Jacovitti, oltretutto, era di stampo clericale – essendo emanazione del giornalino “il Vittorioso”, organo dell'Azione Cattolica, allora potentissima – mentre io ero già ateo convinto ed avevo comprato quel Diario soltanto per uno dei miei rari casi di acquiescenza alla moda. In generale, infatti, nonostante quell'età sia ancora quella del conformismo, dell'aggregazione acritica e puramente generazionale, proprio in imitazione del padre cercavo di essere anticonformista, in più erano già in sviluppo le mie tendenze solitarie e asociali).
Altra curiosa assenza nel testo di Eco, sempre così attento ai fatti di costume e di cronaca che possono avere impatto non scontato sulla società, la riscontro nel sottacere l'eccezionale circostanza della morte per crepacuore della moglie di Jacovitti, avvenuta poche ore dopo il decesso dello sposo.
Questo sì che è un 'segno' che dovrebbe (ed ha) impressionare la gente, gli utenti della società dell'informazione, i quali sono spinti ad eccitarsi per tutti gli accadimenti di impatto emotivo, buoni o cattivi non ha importanza, comunque esistenti solo se mediatizzati. E questo 'segno' di commovente e rara storia d'amore mi sembra davvero degno di compartecipazione, assai di più delle deprimenti manifestazioni di sciacallesco cordoglio, intinto di necronarcisismo, per la morte di quella sciagurata troietta di Diana Spencer.
Siccome Jacovitti imperversava ed era celeberrimo proprio negli anni della crescita di noi figli Ragghianti, posso testimoniare che, al di là dei rimproveri del genitore, tutti noi abbiamo letto in varie sedi, soprattutto su “Il Monello”, le sue strisce almeno fino agli anni '70. Io non ho mai veramente apprezzato le sue storie e nemmeno le singole vignette (salvo una, formidabile, che dimostrava in pochi, muti, passaggi l'identità tra scudo crociato e falce e martello), anche se le leggevo quando mi capitavano a tiro; però allora leggevo tutto ciò che di scritto incontravo. Comunque trovavo lo stile di Jacovitti soprattutto noioso per l'uniformità e ripetitività degli schemi narrativi e per l'insopportabile grettezza del tratto disegnativo. [...]
"Dramatis Personae" del 18 & 19 gennaio 1998
Altra curiosa assenza nel testo di Eco, sempre così attento ai fatti di costume e di cronaca che possono avere impatto non scontato sulla società, la riscontro nel sottacere l'eccezionale circostanza della morte per crepacuore della moglie di Jacovitti, avvenuta poche ore dopo il decesso dello sposo.
Questo sì che è un 'segno' che dovrebbe (ed ha) impressionare la gente, gli utenti della società dell'informazione, i quali sono spinti ad eccitarsi per tutti gli accadimenti di impatto emotivo, buoni o cattivi non ha importanza, comunque esistenti solo se mediatizzati. E questo 'segno' di commovente e rara storia d'amore mi sembra davvero degno di compartecipazione, assai di più delle deprimenti manifestazioni di sciacallesco cordoglio, intinto di necronarcisismo, per la morte di quella sciagurata troietta di Diana Spencer.
Siccome Jacovitti imperversava ed era celeberrimo proprio negli anni della crescita di noi figli Ragghianti, posso testimoniare che, al di là dei rimproveri del genitore, tutti noi abbiamo letto in varie sedi, soprattutto su “Il Monello”, le sue strisce almeno fino agli anni '70. Io non ho mai veramente apprezzato le sue storie e nemmeno le singole vignette (salvo una, formidabile, che dimostrava in pochi, muti, passaggi l'identità tra scudo crociato e falce e martello), anche se le leggevo quando mi capitavano a tiro; però allora leggevo tutto ciò che di scritto incontravo. Comunque trovavo lo stile di Jacovitti soprattutto noioso per l'uniformità e ripetitività degli schemi narrativi e per l'insopportabile grettezza del tratto disegnativo. [...]
"Dramatis Personae" del 18 & 19 gennaio 1998
mercoledì 1 marzo 2017
{bacheca} Hölderlin: "essere e giudizio" e Germania
In
un taccuino di appunti e riflessioni, scritto intorno al 1970, Carlo
L. Ragghianti analizza un ragionamento di Frederick Hölderlin
(1770-1843), poeta e scrittore distrutto da dolorosa passione
e
vissuto poi per un quarantennio nella follia. Riportiamo qui sotto in
“facsimile” lo scritto dello studioso lucchese, con a fianco la
trascrizione.
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